Come usare l'acqua di mare in cucina senza rischi per la salute

14 Ago 2023, 15:58 | a cura di
Molti cuochi contemporanei la utilizzano e nel tempo sono nate specialità alimentari a base di acqua marina a partire da birre, pani e pizze. Ma quella dell’acqua di mare è una “scoperta” che viene da lontano: ecco tutte le caratteristiche per impiegarla al meglio nei piatti.

Una frisella bagnata con l'acqua di mare. Ecco l'ultimo trend di Tik Tok, il social network dei giovanissimi che settimanalmente sforna tendenze bizzarre anche sul fronte culinario, creando mode spesso nocive per la salute. Specificare che non è questo il corretto utilizzo dell'acqua marina è superfluo: ben più interessante è invece capire come impiegarla in modo sicuro e gustoso. Dallo spagnolo Quique Dacosta al pugliese Giovanni Lorusso, nelle cucine l’acqua di mare ha sempre maggiori utilizzi; a fornirla una decina di aziende tra Spagna, Scozia e Puglia che la commercializzano, già sanificata. Del resto è un ingrediente pieno di preziosi oligoelementi e fa molto meno male del sale raffinato. Inoltre, è anch’essa una parte importante del terroir e ha una storia millenaria da raccontare.

Poseidone. disegno di Marcello Crescenzi

La dualità tra acqua dolce e acqua salata

Un’antica leggenda orientale racconta che Alessandro Magno andasse per il mondo alla ricerca della Sorgente di Vita accompagnato dal suo cuoco. Questi un giorno lavando un pesce salato in una fonte lo vide improvvisamente riprendere vita: avevano trovato l’acqua dell’immortalità. La dualità tra acqua dolce (piovana o di sorgente) e acqua salata è presente in moltissime culture. L’acqua dolce è femminile, l’acqua spumeggiante, oceanica, maschile; nella mitologia greca primordiale, Pontos (il mare) è sterile e ha bisogno dell’intervento divino per essere in grado di generare.

In Estremo Oriente, nello Shintoismo, la purificazione avviene attraverso l’acqua salata di mare, perché il sale garantisce la conservazione e l’incorruttibilità degli alimenti. Ma l’eccesso di sale corrode, quindi acqua e sale devono essere mescolati con saggezza. Scrisse Euripide che “il mare guarisce le malattie degli uomini” e la scienza, due millenni dopo, gli ha dato ragione: l’acqua di mare contiene più di 90 preziosi elementi minerali che il semplice sale, cloruro di sodio al 97% (più iodio aggiunto dopo la raffinazione) non contiene. Naturalmente per essere utilizzata dall’uomo, quest’acqua va microfiltrata, a freddo, e depurata.

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Un porta sale con dentro acqua e pesci. disegno di Marcello Crescenzi

Nell’antichità: balneum maris e acqua pazza

Le origini degli usi alimentari dell’acqua di mare risalgono a pratiche antiche che sono state mitologizzate, e poi codificate, in ricette tradizionali e popolari. Si dice per esempio che la tecnica del “bagno maria” sia stata messa a punto da Marian, sorella di Mosè, o dalla misteriosa alchimista Maria la Giudea; in realtà la pratica di immergere in un bacile di acqua non potabile dolce o salata e calda un recipiente più piccolo, deriva dall’espressione latina “balneum maris”, bagno di mare appunto. Numerose preparazioni culinarie richiedono di utilizzare questa pratica semplice e geniale: gli alimenti riscaldati lentamente in questo modo si fondono perfettamente, con dolcezza e gradualità.

In principio erano i marinai in viaggio: anticamente, a bordo delle navi, per pulire, rinfrescare e cuocere le derrate, pesci e molluschi in primis, si utilizzava l’acqua di mare, così da poter conservare la preziosa acqua dolce per bere. I cibi riuscivano molto saporiti, senza bisogno di tanti condimenti, e l’uso si diffuse. Nacquero così le cotture all’acqua pazza. Non solo di prodotti ittici: gli anziani pugliesi e napoletani ricordano ancora ricette tradizionali di pani impastati con acqua di mare, e polli all’acqua marina. Anche la tradizionale fresella acquasale del Salento viene da qui. Del resto, il mestiere dell’acquaiolo, oggi scomparso, prevedeva che il portatore d’acqua avesse con sé due otri: uno d’acqua dolce, più costosa, e uno di acqua salata più economica. Parliamo di diversi secoli fa, quando il mare era certamente più incontaminato e le norme igieniche sconosciute. Da qualche anno questa pratica si è nuovamente diffusa, prima come una moda e poi come una abitudine salutare. Naturalmente bisogna usare acqua che abbia subìto un processo di sanificazione, così come vale per l’acqua del rubinetto.

Un veliero disegno di Marcello Crescenzi

L’acqua di mare nel XXI secolo: un business

Tutti gli esperti concordano nell’asserire che l’acqua di mare sia molto più di acqua&sale: infatti oligoelementi come cloruro, sodio, solfato, calcio, magnesio e potassio sono presenti in generose quantità. Inoltre contiene in piccole dosi quasi tutti i 92 elementi della tavola di Mendeleev e quindi potenzialmente è la più completa delle acque minerali.

Ma passiamo alla produzione e alla distribuzione di questo alimento. Rimanendo in Europa è la Spagna la leader della commercializzazione dell’acqua di mare, con sei aziende tra cui Agua de Mar, che commercializza anche svariati prodotti, dalle patatine alla pizza e ai succhi di frutta, mentre Lactoduero propone in vendita acqua marina del Cantabrico (dove si lavorano le famose acciughe). In Scozia, Acquamara imbottiglia l’acqua dell’Oceano Atlantico; in Italia svetta la pugliese Steralmar che ha depositato un brevetto per la propria acqua microbiologicamente pura: “riservadimare”. L’innovazione tecnologica, poi, ha permesso, a cascata, la messa a punto di alcuni prodotti agroalimentari molto interessanti, connubio tra le tipicità locali e l’acqua di mare.

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Sapore di Mare: birre, pizze, pani…

Un birrificio artigianale di Bari, Birranova, ha messo a punto la birra Margose, con l’acqua di mare. Alcuni chef, come il pugliese Giovanni Lorusso, usano l’acqua di mare per i propri piatti: un ritorno alle origini, quando era una prassi comune nella cucina popolare, ma con tutta la sicurezza alimentare che garantiscono le aziende odierne.
In Spagna sono numerosi i cuochi che hanno ripreso pratiche culinarie locali, come il tradizionale riso nell’acqua di mare ed altre pietanze: dal giovane Joaquín Baeza a Quique Dacosta; mentre a Londra Mauro Palomba e il maestro pizzaiolo Marino Bove usano solo acqua di mare (certificata) nella cucina del loro ‘O ver.

Tra i primi a utilizzarla nella gastronomia moderna è stato Ferran Adrià: "Al Bulli lo abbiamo usato per preparare piatti tradizionali. Ad esempio per realizzare il fumetto di pesce. così il pesce ha un sapore più deciso, i crostacei hanno un sapore più simile… ai frutti di mare. Tutto ciò che viene cotto con acqua di mare ha più sapore". Dacosta, invece, dà un consiglio “casalingo” per cuocere i gamberoni rossi in casa e gustarli al meglio: "Riempire una grande casseruola con circa 4 litri di acqua di mare – spiega lo chef spagnolo – Appena bolle, gettarvi dentro un chilo di gamberoni rossi e spegnere: lasciar lì i crostacei per 3 minuti. Quindi toglierli e gettarli in acqua ghiacciata, lasciarli per 5 minuti e conservarli in carta bagnata all’acqua marina fino al momento di mangiarli".

L'acqua di mare nella panificazione

In Campania, lo scorso anno, è stato messo a punto un pane all’acqua di mare, con un ridotto contenuto di sodio e ricco di oligoelementi, frutto di una collaborazione tra i panificatori associati all'Unipan, Steralmar e il CNR; attualmente sono allo studio diverse tipologie di pani, combinati con la preziosa acqua marina, a ridotto contenuto di sodio e potenzialmente nutraceutiche. Numerose, infine, le esperienze di maestri pizzaioli che utilizzano acqua di mare certificata nei propri impasti, dal campano Guglielmo Vuolo, che la mise a punto nel 2015, alla pizzeria milanese Mani in pasta e alla pizzeria torinese Duepuntozero ed altre ancora, sparse nella penisola.

La conservazione in salamoia delle olive da mensa, del resto, viene proprio dalla tradizione dell’antica Grecia dove le olive confettate (ricetta tipica anche della Gallura) venivano immerse in acqua di mare per ammorbidirne i tannini (e ancora si fa). Tra i piatti forti degli antichi Romani, del resto, c’era il cinghiale alla tebana, cotto nell’acqua di mare con alloro: piatto codificato nel Pantropheon di Alexis Soyer, celebre cuoco vittoriano. Insomma: la cucina del futuro – ancora una volta – pesca intelligentemente nelle tradizioni ancestrali attualizzandole.

a cura di Alessandra Guigoni

disegni di Marcello Crescenzi

 

 

 

 

 

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