Monini scommette su olivicoltura e monocultivar

1 Dic 2018, 12:13 | a cura di

L’industria si candida a difendere l’extravergine made in Italy, certificato, e punta a costruire un terreno condiviso che permetta di veicolare l’olio italiano nel mondo: una strategia che difenderà anche i grandi artisti e artigiani dell’olivicoltura. Parola di Monini.

 

Siamo andati a vedere nell’azienda di Spoleto come intendono percorrere questa strada e capire meglio il Progetto Monocultivar che è entrato nel vivo al Frontoio del Poggiolo, bel frantoio alle spalle della grande industria di famiglia che seleziona e commercializza ogni anno circa 30 milioni di litri di olio EVO e olio di oliva tra Italia e estero.

Il Progetto Monocultivar

E alla fine il “mago dei blend”, il signor Zefferino Monini, si è deciso a perseguire la strada degli oli monocultivar, ovviamente made in Italy. Anzi: sceglie le monocultivar proprio per traghettare l’olio della cultura e dell’agricoltura italiana nel mondo, sul mercato globale. Zefferino passa questi mesi chiuso nel suo cubicolo di degustazione, spesso insieme al figlio, dove assaggia le decine di campioni che gli arrivano ogni giorno da ogni parte del mondo (Grecia, Italia, Portogallo e Spagna in primis), ne registra su carta e su file le note organolettiche e sceglie quelli che meritano il suo interesse, prima di spedirli in analisi nel suo super-laboratorio aziendale, appena fuori Spoleto. Di esperienza ne ha a bizzeffe. “Nell’olio c’è nato” sorride sua sorella Maria Flora che in azienda si occupa dell’immagine, comunicazione e delle relazioni esterne. “Quest’anno Zefferino è afflitto– confessa Marco Scanu, consulente di Monini e motore del progetto monocultivar partito un anno fa – La campagna olearia è stata forse la peggiore che si ricordi. Non c’è la materia prima necessaria per fare una qualità davvero alta. È complicatissimo riuscire ad avere olive di livello”. Gli fa eco Zefferino: “E non è così solo in Italia. da quando mio padre mi mise a seguire i commerci di olio, 38 anni fa, quando mi occupai di un acquisto e del trasferimento di un carico dalla Grecia, questa credo sia la peggiore annata per quel Paese…”. Tant’è vero che anche il Progetto Monocultivar, pur procedendo in modo spedito, non riuscirà a segnare il raddoppio della produzione come programmato l’anno scorso.

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Il made in Italy

Però sul made in Italy lui, Zefferino, che è sì italianissimo ma che è anche uno dei colossi del mercato dell’olio extravergine e di oliva comunitario, afferma di puntarci davvero. E lo fa attraverso le parole di Marco Scanu, grande professionista del mondo olivicolo internazionale. “La biodiversità e la grande varietà del patrimonio olivicolo italiano per noi è cultura radicata, o almeno per molti di noi perché anche in Italia manca molta conoscenza rispetto all’extravergine. Ma per il mondo oltre ai nostri confini si tratta di sapori e profumi sconosciuti che non è per nulla semplice comunicare. Le monocultivar, anche con le loro imperfezioni, sono in grado di raccontare questo grande prodotto in modo diretto e univoco e in alcuni casi (come per le varietà Frantoio, Nocellara e Coratina) riescono anche a incontrare il palato di chi è ai primi assaggi con le note nette e differenti di erba, di mandorla, di pomodoro– Scanu è dilagante nel suo appassionato racconto e nell’argomentare le scelte – Con Monini riteniamo che questo progetto sui monocultivar possa contribuire a creare un terreno comune di comunicazione, un linguaggio condiviso che serve anche per i grandi artisti e artigiani dell’extravergine italiano (e ce ne sono tanti, da Viola a Franci e fino a Stallone, solo per citarne alcuni). Loro fanno produzioni abbastanza ridotte e di altissimo livello; noi che siamo su un terreno più industriale, vogliamo fare un’alta qualità ma con grandi numeri in grado di cambiare davvero il mercato”.

L'inversione di rotta dell'industria

In realtà, che l’industria avesse cominciato da tempo e rendersi conto che la consapevolezza e di conseguenza la domanda dei consumatori stanno crescendo, lo avevamo segnalato già qualche anno fa. Oggi il processo è in fase avanzata. E su una cosa l’industria sembra rendersi conto (almeno a parole e sicuramente nell’advertising): alla base dell’agroalimentare c’è un atto agricolo. Tradotto nel mondo che ci interessa: “L’olio nasce dall’albero”, parole di Scanu. Resta da capire in cosa e come si traduce questo nuovo livello di consapevolezza: porterà a strozzare gli agricoltori o sarà un rilancio per l’agricoltura? Certo, la politica (quella con la P maiuscola) non aiuta molto nell’individuare scelte e strategie su cui concentrare gli sforzi di tutti, a partire dalla gestione dei fondi europei. Non resta che credere nella forza regolatrice del mercato e nell’intelligenza degli uomini!

L'olio Monini all'assaggio

Di fatto, i passi che sta compiendo Monini sembrano di sostanza, a partire dal prodotto di punta della sua industria, il Gran Fruttato, che dallo scorso anno è tornato italiano. “E che, nonostante le grandi difficoltà, vogliamo resti italiano per il futuro”assicura Zefferino. Apre una bottiglia, lo assaggiamo. Beh, non è per niente malvagio. Non ha difetti. Esprime anche delle note di carattere e un bel piccante. meglio di molti oli artigianali che si trovano in giro. E sinceramente, a 8 euro al litro, ad averne, per tutti i giorni! E già questo prodotto che gira per il mondo rende abbastanza giustizia alla produzione italiana se pensiamo a cosa si trova (di italiano, sig!) in regioni del mondo lontane come Medio Oriente, Corea, Cina, Usa. Anche se poi è vero che dagli Usa, ad esempio, la maggior richiesta è per il Classico, realizzato con oli comunitari: non solo, in molti lo richiedono confezionato con il bag-in-box, un packaging sofisticato (ed eccezionale per conservare l’olio) che probabilmente costa più del contenuto. Ma quei consumatori ancora non capiscono il piccante e soprattutto l’amaro come elementi assolutamente positivi dei nostri extravergine, caratteristiche che ne costituiscono il vero pregio sia come esperienza organolettica che come elemento nutraceutico. “E su questo vogliamo puntare” sottolinea Zefferino Monini.

Gli investimenti fatti da Monini

Ma torniamo ai fatti: al momento, Monini ha investito nell’acquisto di 300 ettari ad Avigliano Umbro.“Siamo partner con un altro socio”, spiega Maria Flora. Che sarebbe l’azienda agricola Terre del Papa di Campello sul Clitumno.“Lì– spiega Scanu – si produrrà la Dop Umbria”.Poi, Monini ha 160 ettari nel cuore del Parco del Pollino in Basilicata che diventeranno prestissimo 250 e 110 ettari nel Gargano, cuore della produzione del biologico Bios. “Inoltre, abbiamo convinto l’azienda agricola Asaro (di Partanna, Trapani, fornitori storici di Monini) a seguire i nostri parametri di qualità sia con attenzione maggiore in campo, sia soprattutto investendo in nuove tecnologie, in primis con il circuito del freddo e con diversi frangitori in frantoio: all’inizio c’era scetticismo, ma appena visti i risultati gli Asaro hanno immediatamente condiviso il progetto e hanno investito. La stessa cosa puntiamo a farla con altri fornitori con cui abbiamo rapporti consolidati. Alla fine, crediamo che la qualità vinca e convinca”. “Fermo restando– spiega Zefferino – che l’assenza della politica in Italia non può essere sempre una scusa per il non fare: l’imprenditore che ha una visione deve investire comunque e seguire il suo percorso, sia che ci siano i finanziamenti, sia che non ci siano o che non siano ancora disponibili. Certo, ognuno in proporzione alle sue possibilità e ai suoi obiettivi. Purtroppo le associazioni dei produttori invece spesso puntano solo o principalmente a mantenere se stesse e questo non va bene. Occorre unità e non divisione. Per questo noi siamo tra i fondatori insieme a Pantaleo del Ceq, il consorzio di controllo del 100% made in Italy sull’extravergine, cui aderiscono molti produttori e associazioni, che deve garantire il processo di produzione e il prodotto. Riteniamo sia indispensabile”.

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Che l’industria stia diventando buona?

Del resto, anche Carapelli sta puntando molto sul 100% italiano e sta acquisendo consulenti in grado di fare un percorso di consapevolezza e qualità. Scriveva Alberto Grimelli (direttore del magazine online teatronaturale.it) l’anno scorso, all’indomani dell’annuncio del Progetto Monocultivar di Monini: “Strategia industriale o operazione promozional-commerciale? La vera domanda, di fronte a questi progetti, è se si tratta di operazioni di facciata, per recuperare credibilità e mantenere quote di mercato oppure se sono strategie industriali di lungo respiro. La differenza la faranno i volumi di produzione e vendita. Se resteranno ancorati a qualche centinaio di quintali è evidente che si tratta di iniziative volte a occupare metri lineari di scaffale, scalzando potenziali concorrenti, recuperando immagine per ottenere una ricaduta commerciale positiva sugli altri prodotti. Se i volumi si svilupperanno considerevolmente, allora potremo parlare di reali progettualità per un nuovo made in Italy. Non oli artigianali, certo, ma meritevoli di rispetto e attenzione. Questione di volumi, quindi di cifre, come quelle sviluppate dal GranFruttato: 1,2 milioni di bottiglie da litro in Italia e 350 mila all'estero (1.500 tonnellate). Sospendiamo il giudizio e aspettiamo. Il tempo svelerà la verità”.

Che il Gran Fruttato sia tornato italiano lo scorso anno (certo, era un’annata facile) è un fatto e anche quest’anno Zefferino Monini assicura che lo sarà… La cosa non può che farci piacere e ribadiamo la chiusa di Grimelli: il tempo svelerà la realtà!

 

a cura di Stefano Polacchi

 

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