Crisi del latte di pecora in Sardegna. Come risolverla in modo duraturo

4 Mar 2019, 15:30 | a cura di
La crisi del latte di pecora in Sardegna. L'intervento di Roberto Rubino di Anfosc – Associazione Nazionale Formaggi Sotto al Cielo e Consorzio ME.NO aggiunge un nuovo tassello al dibattito che stiamo ospitando sulle nostre pagine.

È passato quasi un mese dal nostro primo articolo sulla crisi del latte e la protesta dei pastori sardi, che ci aveva raccontato Gavino Pulinas e da allora abbiamo continuato ad occuparci della questione ospitando gli interventi di addetti ai lavori per ampliare il raggio del dibattito e immaginare soluzioni durature. Così, mentre si cerca di arrivare a un accordo (il prossimo appuntamento è il 7 marzo) continuiamo ad alimentare una riflessione che possa costruire un futuro più valido non solo per i pastori sardi ma anche per i consumatori.

Torna a ragionare con noi Roberto Rubino (Anfosc – Associazione Nazionale Formaggi Sotto al Cielo e Consorzio ME.NO MEtodo NObile), che aveva dato il via a questo dibattito cui hanno partecipato anche Carlo Fiori di Guffanti e Andrea Cabiddu e Giovanni Molle di Agris (Agenzia per la Ricerca in Agricoltura).

In Sardegna il modello di sviluppo pastorale agganciato alla Dop del Pecorino Romano è andato oltre i tempi storici che l’hanno determinato. Occorre andare in un’altra direzione.

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Le cause vere o presunte

In Sardegna il modello pastorale agganciato alla Dop del Pecorino Romano è arrivato al capolinea. E non perché questa crisi sia più drammatica delle altre - e lo è - ma perché è l’ultima di una serie di cui si è persa la memoria. Da anni, da decenni, sistematicamente i pastori scendono in piazza per reclamare il rispetto dei patti o un prezzo più equo. E da altrettanto tempo gli enti pubblici si limitano a tamponare la situazione. Ma è cronaca di una crisi annunciata, perché se è vera la malattia, è sbagliata l’anamnesi, la prognosi e la terapia.

L’imputato storico è lo sbilanciamento fra domanda e offerta. Si asserisce che il Pecorino Romano, che fa da traino a tutti gli altri formaggi sardi, sistematicamente si ritrovi con un eccesso di produzione che non riesce a smaltire. Di qui il crollo dei prezzi.

A questo punto le domande da porsi sono due: perché tutta la produzione sarda si aggancia al Pecorino Romano, che di suo è già debole? E poi, chi l’ha detto che c’è una superproduzione di formaggi pecorini?

Il patrimonio ovino e l'impiego del latte

Negli ultimi dieci anni il patrimonio ovino nazionale ha subito una decimazione. In Basilicata, dove vivo, le pecore sono ormai una rarità. E lo stesso vale per le altre regioni meridionali e in primis la Sicilia. Anche in Sardegna diminuiscono progressivamente aziende e patrimonio ovino. Tutto il latte prodotto è miscelato per produrre formaggi che si chiamano tutti “pecorino”, e che sono più o meno tutti termizzati o pastorizzati, e messi in frigorifero in attesa di essere venduti.

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In pratica, oltre al Pecorino Romano, anche se in minima parte, si fanno altre tipologie di formaggi ma tutti vanno nella stessa fascia di mercato, che è quella medio-bassa, perché la miscela del latte e la tecnica casearia adottata non permettono di ottenere grandi formaggi. Quindi, quella fascia di mercato è ingolfata non dal Pecorino Romano, ma dall’insieme dell’offerta. Non è vero che non c’è mercato per i pecorini, ma è chiaro che la stessa tipologia non può pretendere un mercato elastico. È essa stessa causa del problema.

In Sardegna il prezzo del latte è unico, uguale per tutti.

Ma anche il latte è uguale? Certo che no! Ciascun pastore riceve un prezzo per il latte prodotto che non è mai pari alla sua qualità: chi sta sopra alla media è penalizzato e chi sta sotto, teoricamente, premiato. Se ci siamo abituati a pensare che il latte sia tutto uguale, ci siamo staccati dalle nostre radici, non riusciamo a capire cosa e dove è la qualità, non disponiamo del vocabolario per poterla produrre e raccontare.

Qualche anno fa un tassista spagnolo mi disse che il padre aveva otto vacche: ai figli non dava il latte di tutte e otto le vacche ma solo di quella più grassa e che faceva meno latte. Più semplice e scientificamente inattaccabile di così non si può.

Le soluzioni per il futuro

A mio parere bisogna approfittare di questa crisi e fare l’equivalente di quello che ha fatto il mondo del vino dopo lo scandalo del metanolo: formaggi di qualità, di grande qualità. Bisogna quindi andare nella direzione opposta. Come?

Divieni ciò che sei. Un monito che vale anche per latte e formaggio

L’emistico di Pindaro dedicato alla vittoria di Ierone da Siracusa a Olimpia nel 472 a.c., ci permettere di cogliere in pieno il senso della proposta che sto per fare. Se il latte non è tutto uguale, allora facciamolatte sardn modo che ogni latte diventi quello che è. Diamo a ciascuno il proprio valore, perché questo ci permetterà di affrontare la diversificazione della produzione di formaggi partendo da basi solide, concrete, facili da ottenere. In Sardegna abbiamo già latti diversi, basta separarli, lavorarli in maniera adeguata e immettere sul mercato prodotti che possano essere distribuiti su tutte le fasce di mercato.

Quindi, non dobbiamo stravolgere il sistema produttivo, non dobbiamo mobilitare ingenti risorse umane e finanziarie. Ci limitiamo alla maieutica di Socrate, tiriamo fuori quello che già esiste. Vediamo quali devono essere i passaggi.

Differenziare il latte

Se il latte non è uguale come misuriamo le differenze? Il latte, il formaggio, ma qualsiasi materia prima (grano, carne, ecc.), sono degli alimenti e che prediligiamo o rifiutiamo perché hanno un odore e un sapore. Hanno anche un valore nutrizionale ma, come sappiamo, le molecole sono le stesse. Le molecole responsabili dell’aroma (inteso come sapore e odore) sono quelle volatili (terpeni, aldeidi, cc) e i fenoli. Entrambi dipendono da quello che mangia l’animale. Più erba c’è nella razione e più erbe ci sono nel pascolo o nel fieno e più il contenuto di queste molecole è elevato. I mangimi hanno solo un effetto diluizione: aumentano la quantità ma ne diminuiscono il contenuto. Quindi, in assoluto, il miglior latte si fa con animali che pascolano su prati naturali, con un numero elevato di erbe e senza mangimi. L’erbaio, per il fatto che contiene solo un paio di erbe, ne abbassa il livello qualitativo. E si vede già dal colore del formaggio, normalmente più pallido.

Tre classi di qualità per il latte. Ecco quali

Per passare ad un nuovo modello produttivo, nella fase di partenza, si potrebbero attivare tre classi di qualità di latte di valore e, naturalmente, prezzi diversi.

Pascolo naturale e senza mangimi

Pascolo naturale con mangimi

Erbaio con mangimi

Ammettiamo che la terza classe venga destinata al Pecorino Romano e ad altri formaggi pastorizzati, le altre due ci potrebbero permettere di ipotizzare livelli superiori, anche molto superiori. Perché un formaggio non deve costare 50, 100 euro, visto che ormai anche i prosciutti, oltre che i vini, viaggiano verso le centinaia di euro?

Pecorino di Filiano DOP

La qualità del processo produttivo

Manca ancora qualcosa però, se vogliamo salire ai piani alti. Il latte deve essere lavorato crudo e senza fermenti aggiunti, solo siero-innesto e poi vanno stagionati in locali naturali, non in celle frigorifere. Nel mondo, i grandi formaggi maturano lentamente e in maniera perfetta nelle miniere, nelle grotte, nei bunker, in qualsiasi cosa che somigli a un locale naturale: Il Roquefort, il Cabrales, lo Stilton, la Fontina, il Ragusano, il Comtè, e così via. La Sardegna ha locali sotterranei eccezionali, perché non recuperarli? Potrebbe essere anche una buona opportunità per tanti giovani in cerca di lavoro. Il latte c’è, deve essere solo pagato il giusto ai pastori.

Il ruolo della Regione Sardegna

Chi e come coprire i costi di quest’operazione? Naturalmente il volano di quest’operazione devono essere i trasformatori, piccoli o grandi non importa. Sappiamo che separare il latte aumenta leggermente i costi e di questo si deve far carico l’industria. Occorrerà separare le linee di produzione, ma sarà solo un problema di manodopera. Sappiamo anche che non basta fare un grande formaggio, bisogna venderlo anche a un prezzo “grande”.

Ed ecco che a questo punto interviene la Regione Sardegna. Occorre predisporre ed emanare un piano d’interventi che si può sintetizzare in tre punti.

I tre punti del piano di interventi

Incentivi alle aziende per avviare linee di produzione per formaggi la cui diversità sia basata esclusivamente sulla materia prima

Incentivi per il ripristino, la riconversione e la valorizzazione di locali naturali di stagionatura

Una campagna promozionale intensa, mirata, che crei l’attesa del formaggio che sta per arrivare sui mercati mondiali, un’azione sul territorio per valorizzare il carrello del formaggio, e tutte le iniziative atte a far conoscere tale diversità

Con un progetto del genere si respirerebbe un’aria nuova e la sua realizzazione non costerebbe un’enormità. Ciascuno proverà a dare il massimo perché l’obiettivo è stimolante, la sfida è affasciante. Ma più di tutti saranno contenti i consumatori, i turisti. Venire in Sardegna e non trovare un posto dove si possa fare una degustazione comparata, una verticale non per anni di stagionatura, ma per classi di qualità, è per molti una delusione difficile da spiegare in una delle regioni d’europa a più alta vocazione pastorale.

Naturalmente mi sono limitato a delineare l’approccio e le linee di base. Ma ritengo che questo progetto sia “più difficile a dirsi che a farsi”.

Una cosa è certa: se ci limitiamo ancora una volta a mettere pezze al vecchio modello, senza cambiare, la prossima crisi è già alle porte.

a cura di Roberto Rubino

del Consorzio ME.NO.(MEtodo NObile)

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