Alla scoperta della storia del fritto. In principio furono gli egizi, con la pasta dei dolci fritta nel grasso, come si legge in “Storia dell’alimentazione” di Jean-Louis Flandrin e Massimo Montanari, ma bisogna attendere il Medioevo perché il fritto diventi prodotto di uso comune tra le classi elitarie, che “friggevano nel lardo carne e verdure, mentre nell'olio il pesce”.
Storia della frittura: Apicio e la cottura nel garum
Come sia nata questa tecnica di cottura, però, resta un mistero. Apicio racconta di pietanze fritte nel miele cotto, oppure in una miscela di garum, olio e vino, o ancora garum, acqua e olio (quello che oggi considereremmo un soffritto), ma i testi al riguardo – a differenza di altre tipologie di cotture come l'arrosto – sono pochi e non sempre chiari.
La frittura al tempo dei romani
Per i romani, infatti, la frittura era ben diversa da come la interpretiamo oggi. Ed è stata una delle ultime tecniche a evolversi, stando a quanto scrive Varrone: “Primo assam, secundo elixam, tertio e iure uti coepisse natura docet”, ovvero prima è venuto l'arrosto, poi il lesso e infine la cottura in salsa. Come spiega Maurizio Bettini nel capitolo “Del fritto e d'altro” nel volume “Homo Edens”, i nostri antenati non amavano particolarmente i cibi fritti. Tant'è che Apicio racconta che il liquido di cottura veniva poi versato sul cibo così da renderlo di nuovo morbido e succulento: insomma, la croccantezza – oggi sinonimo di qualità per un buon fritto – non era contemplata.
L'olio d'oliva al tempo dei romani
Occorre ricordare, inoltre, che l'olio d'oliva era utilizzato dai romani principalmente per l'illuminazione, la cosmesi, e i rituali religiosi, oltre che per proteggere i legionari dal freddo, mentre erano poco noti i suoi vantaggi in cucina. Da Plinio, infatti, si apprende che l'olio d'oliva al tempo aveva un sapore piuttosto acre e irrancidiva facilmente, per questo era poco apprezzato in ambito alimentare.
Storia della frittura, dai greci al Rinascimento
E i greci? Il ritrovamento di padelle in terracotta piuttosto spesse ha portato gli storici della gastronomia, in particolare Giuseppe Pucci ne “Il fritto nel mondo greco”, ad affermare che una sorta di tecnica di frittura fosse già esistente anche nella cultura ellenica. Questi utensili avevano un manico forato, probabilmente utilizzato per poggiare il mestolo ed evitare di scottarsi con i grassi bollenti. Quel che è certo è che la frittura ha iniziato a prendere piede dapprima nel Medioevo e poi durante il Rinascimento, con l'introduzione dei grassi animali, appannaggio dei ceti più abbienti.
La frittura oggi: le varianti italiane
Ma arriviamo ai tempi moderni: quante fritti esistono in Italia? Ogni regione ha le sue tradizioni, e così si va dallo gnocco fritto emiliano alle olive all'ascolana marchigiane, i fiori di zucca romani, il cuoppo e la pizza fritta napoletana, i panzerotti pugliesi, gli arancini siciliani e le seadas sarde. Senza dimenticare le specialità dei giorni di festa, dalle zeppole e i bignè di San Giuseppe agli struffoli.
Storia della frittura: la pizza fritta napoletana
Tante le tradizioni e leggende popolari legate a questo tipo di cottura. La storia della pizza fritta partenopea, per esempio, è legata alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando pare sia nata per soddisfare i bisogni di un popolo impoverito, in un tempo in cui anche la classica tonda era diventata un lusso. Rimane celebre la scena di Sophia Loren ne “L'Oro di Napoli” di De Sica, intenta a preparare pizze fritte fra le strade del quartiere di Martedei.
Le donne napoletane del dopoguerra
Due pile di mattoni poste a sostegno dei bruciatori collegati alla bombola a gas, l'odore di olio bollente e il profumo della pasta lievitata: è questo il tipico affresco della Napoli del secondo dopoguerra, dove il forno a legna era inaccessibile. La Napoli delle massaie, delle donne coraggiose, fra cui l'ormai famosa zia Esterina, a cui il pizzaiolo Gino Sorbillo ha dedicato diverse insegne, riprendendo la tradizione da lei iniziata per pochi spiccioli.
Storia della frittura: San Giuseppe Frittellaro a Roma
A Roma, invece, è quella di San Giuseppe Frittellaro una delle tradizioni più sentite in fatto di fritti. A partire dall'Ottocento, attorno alla Basilica di San Giuseppe nel quartiere Trionfale, iniziarono a diffondersi i primi banchetti dediti alla frittura, per omaggiare il santo e celebrare la festa in compagnia. Un'abitudine molto radicata nel popolo romano, al punto da ispirare l'attore e poeta romanesco Checco Durante, che ai bignè di San Giuseppe – diversi dalle zeppole perché più rotondi – dedicò alcuni dei suoi versi più noti.
I supplì, dal francese al romano
Curiosa è poi anche la leggenda legata al nome dei supplì, che deriverebbe da una storpiatura del termine francese “surprise” (sopresa), utilizzato dai soldati d'oltralpe presenti a Roma nell'Ottocento per descrivere la meraviglia del prodotto, che racchiudeva la “sorpresa”, il ripieno di mozzarella filante, all'interno. Da surprise si passò all'interpretazione romana “suprisa”, che si trasformò successivamente in “supprisa”, “supprì” e infine supplì.
Il fritto misto all'italiana
Fra le preparazioni più sontuose della Penisola, il fritto misto all'italiana, declinato in maniera diversa in ogni regione (per scoprire come prepararlo: I segreti per un fritto perfetto). Un piatto abbondante che coniuga pietanze dolci e salate, tutte panate e fritte, dalla carne alle frattaglie, arrivando a frutta e creme. Fra le variazioni più celebri c'è quella piemontese, fatta con cervella, animelle, fegato, polpette di vitello, salsiccia, batsoà (piedino del maiale), carciofi, melanzane, funghi, zucchine, fiori di zucca, cavolfiore, broccolo, semolino dolce e molto altro ancora. Ogni famiglia prepara poi il piatto con quello che ha in casa, ma la regola fondamentale è una sola: il fritto deve essere croccante, dorato e asciutto.
La ricetta del supplì con caprino
a cura di Michela Becchi