Sidro di mele. Storia, presente e futuro del succo di mela fermentato

16 Ago 2019, 11:00 | a cura di
La storia del sidro è più ampia e complessa di quanto crediamo. Si hanno testimonianze di consumo già presso gli Egizi e Bizantini, e le origini del nome vanno rintracciate fino al greco antico.

Quando si parla di sidro in Italia i pregiudizi s’accavallano in una babele di stereotipi alcolici. Il sidro è una bevanda vichinga, no, il sidro è una bibita per femminucce, buona semmai solo per i francesi. O ancora: il vero sidro si beve nei pub inglesi.

Sidro italiano

La storia del sidro di mele

La storia dietro le bottiglie di succo di mela fermentato è più ampia di quanto crediamo. E soprattutto più complessa. Si hanno testimonianze di consumo di succo di mela fermentato già presso gli Egizi e Bizantini, e le origini del nome vanno rintracciate fino al greco antico σίκερα (liquore fermentato) e al latino sīcera. Sono stati i Celti a diffonderne i consumi in Europa, dove nei secoli la tradizione si è radicata nel Regno Unito, in Francia, soprattutto Bretagna e Normandia, in Portogallo e in Spagna, specialmente nelle Asturie e nei Paesi Baschi.

Sidro italiano

E in Italia? La produzione di sidro è stata proibita durante il ventennio fascista: Mussolini, in un’ottica autarchica che speriamo non torni in voga, voleva limitare il concetto di "bevanda italiana" al solo vino, impedendo ulteriori scambi e contatti con Svizzera, Austria o Francia. Nell’ultimo decennio però si è assistito a una rinascita della produzione di sidro, che sempre più aziende fanno uscire dall’alveo casalingo in cui era stata relegata, sdoganandolo come bevanda italiana a pieno diritto. Sta, in piccolo, succedendo un po’ quel che è successo nel movimento della birra artigianale.

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Il sidro di mele valdostano

Maley è un’azienda sul confine. Quello tra Italia e Francia - Valle d’Aosta e valle di Chamonix, a cavallo dei due versanti del Monte Bianco - dove Gianluca Melloli raccoglie le sue mele. E soprattutto quello tra due mondi, quello del vino e quello del sidro. “Io sono enologo di formazione. Per me è fondamentale il concetto di cru, di territorio. Le nostre priorità sono il mantenimento dei meli e l’armonia del paesaggio alpino” racconta Melloli, che ha cominciato la sua azienda proprio da lì: da un progetto di riqualificazione agricola del comune di Chamonix nel 2010.

Ora Maley produce meno di 20mila bottiglie l’anno usando una decina di varietà tra mele e pere, ognuna delle quali viene valorizzata con un metodo diverso: classico, ancestrale, charmat. “Una volta che ho spalancato la finestra sul sidro mi si è aperto davanti un mondo. Ci sono le mele acide e tanniche, quelle profumate e dolci… bisogna interpretare le vocazioni del territorio”.

Sidro italiano

Per lui la valorizzazione varietale è fondamentale: “Alcune delle mele che uso non hanno ancora un nome. Non è stata fatta ricerca da inizio Novecento: stiamo scrivendo una pagina bianca”. Così bianca che ora si è addirittura spinto a creare un liquore al sidro aromatizzato con erbe locali. Il suo sidro viene distribuito in 15 paesi del mondo e si trova nelle carte di alcuni grandi ristoranti, ma per lui rimane “una bevanda semplice, di evasione. Se lo bevi in una flûte da Champagne perdi qualcosa”.

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Il sidro di mele altoatesino

È stato il naso a spingere Franz Egger a creare Floribunda nella sua Salorno, in provincia di Bolzano. “Il profumo delle nostre mele è eccellente: volevo tentare di portarlo in bottiglia. Nel 2002 ho chiesto la licenza per produrre "prodotti fermentati diversi da vino e birra". Le vendite non sono andate come immaginavo e nel 2009 l’ho disdetta. Nel 2015 è arrivato in azienda un giapponese esportatore di vini naturali. Mi ha detto che suo un cliente in Giappone aveva ancora il mio sidro… e ne voleva altre 600 bottiglie. Sembra una favola: il sidro altoatesino salvato da un giapponese! A quel punto ho ricominciato a produrlo e piano piano l’interesse è cresciuto. Da parte dei ristoratori - me lo chiedono hotel di lusso e super ristoranti gastronomici - ma anche dei giovani consumatori”.

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Nell’azienda Floribunda si lavora con mele da dessert perché - dice Franz - “il nostro scopo è portare più mele possibili in bottiglia. Si gioca tutto sulle modalità di fermentazione, macerazione, blend. Forse in futuro coltiveremo un po’ più di mele da sidro, ma con scelta accurata e tecnologia avanzata si possono fare bei sidri anche con mele da tavola”. Se c’è un rischio nell’utilizzarle è quello di farle diventare una bevanda “troppo sottile”. Per dare “più stoffa, più corpo” Egger utilizza il metodo champenoise (o classico), aggiunge mele cotogne, sperimenta con prodotti locali come zenzero (coltivato in Alto Adige) e sambuco. Non ci sono limiti alle potenzialità del sidro. “Da noi si è sempre fatto a livello casereccio. Meglio così. Abbiamo uno spirito da pionieri: costruiremo insieme”.

Il sidro dell’Appennino

Nonostante sia il Nord Italia quello che, per ovvie ragioni climatiche, storicamente è stato più votato alla sua produzione, il sidro si è sempre prodotto anche nell’Appennino Tosco-Emiliano, dove in dialetto veniva chiamato “al ven ed pom”. L’alcolico domestico delle annate storte, così diffuse su questi rilievi dal clima imprevedibile dove i contadini in mancanza di uva, che stentava a matu- rare, si trovavano a “schiacciare” quello che avevano.

A raccontarcelo è Marco Rizzardi dell’azienda vinicola Crocizia, a Corniglio, famosa soprattutto per il suo Lambrusco. Solo da pochi anni ha ripreso in mano questa tradizione dell’Appennino parmense: “In quasi tutte le vigne che abbiamo in affitto ci sono mele o pere. Produciamo due sidri: uno con mele miste, l’altro solo con mele verdi a pasta gialla. La nostra scuola di pensiero è molto diversa da quella della Normandia, dove i sidri sono dolci e gradevoli. Noi non aggiungiamo zuccheri e quindi il nostro sidro è secco, brusco, aspro. Tosto, come i nostri vini”.

A qualche chilometro di distanza sorge la sidreria Tre Rii. “Quando ho ereditato il podere dei miei nonni mi sono trovato con un sacco di meli, tutti centenari. Una torta oggi, un’altra domani, mi sono chiesto: cosa posso farci? - ci racconta il proprietario, nonché unico “addetto”, Filippo Valla - Le nostre mele sono quelle selvatiche, invendibili: brutte, piccole, amare e tanni- che. Che casualmente sono quelle meglio vinificabili. Ora cerco le mele in tutti i poderi vicini, mi chiamano per raccoglierle. Io non voglio valorizzare una singola varietà specifica ma una tradizione”. E lo fa con il minimo umano: fermentazione spontanea, nessuna filtrazione, nessun additivo. Vendere sidro, ci spiega, in Italia è ancora difficile: lui però non si arrende, e ora il suo sidro è arrivato anche nelle carte dei ristoranti gastronomici. Ma per lui l’abbinamento migliore rimane quello della tradizione: con le castagne!

Il sidro della Polonia

Paradiso delle mele. Così i polacchi definiscono il loro paese, il maggior produttore di mele in Europa. Che però, storicamente, non è mai stato un gran- de produttore di sidro (e anzi ha sempre esportato i propri frutti, perfino il mosto, soprattutto in Regno Unito e Scandinavia). Durante il periodo sovietico la tradizione domestica è stata completamente sradicata, bollata come abitudine troppo germanica, mentre era popolarissimo lo jabol, alcol mischiato con succo di mela e venduto in bottiglie con il tappo di plastica, da aprire con i denti. Negli ultimi anni il governo po- lacco stesso si è invece messo in prima linea per incentivare il consumo di sidro, ma i produttori artigianali rimangono pochissimi.

I più coraggiosi, e gli unici a lavorare in maniera completamente naturale (nes- sun intervento chimico, né sui meli né in cantina, niente filtrazione... ), sono Ewa e Marcin, marito e moglie proprietari della sidreria Kwasne Jabłko nella contea di Olsztdyn, oltre duecento chilometri a Nord di Varsavia. Nei loro sidri, tutti a fermentazione spontanea, utilizzano 160 varietà antiche di mela. Il prezzo medio è molto alto per la Polonia: oltre 10 euro a bottiglia. Far capire ai consumatori polacchi che perfino un sidro polacco può essere buono non è facile. Ma Marcin ed Ewa non si arrendono e alla loro piccola produzione (meno di 10mila bottiglie l’anno) affiancano un’attività di agriturismo. Allineate sugli scaffali di questa bella casa di legno, a disposizione degli ospiti, ci sono tutti loro sidri: quello al sambuco, quello in stile asturiano, quello maturato in botte... tra poco arriverà anche il sidro venduto con il tappo di plastica: “Per ricordare lo jabol. Per tanti anni ha segnato la fama del sidro. Noi siamo qui per nobilitarlo di nuovo”.

a cura di Giorgia Cannarella

foto di Andrea Di Lorenzo

Articolo uscito nel numero di agosto 2019 del Gambero Rosso. Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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