Agritessuti. La moda sostenibile nasce dall'agricoltura: il progetto di Donne in Campo

30 Nov 2019, 15:00 | a cura di
Non solo plastica e rifiuti: una delle maggiori forme di inquinamento viene dal settore della moda. Così, le donne della Cia-Agricoltori italiani inventano i tessuti in fibre naturali e tinture realizzate con scarti agricoli.

Agritessuti: il progetto di Donne in Campo

Le donne in campo coltivano la moda”: è questo il titolo della giornata organizzata a Roma a fine settembre e dedicata al mondo della moda sostenibile, voluta dall'associazione Cia-Agricoltori italiani Donne in Campo. In campo, perché le tinture vengono realizzate a partire dagli scarti agricoli, mettendo così in moto una filiera controllata, a basso impatto ambientale e di recupero. E poi fibre naturali, canapa in primis, ma anche il gelso, da cui ricavare la seta. Un settore ancora di nicchia ma in fase di crescita, come ha spiegato la presidente dell'associazione Pina Terenzi: “La richiesta di capi ecosostenibili in Italia è aumentata del 78% negli ultimi due anni, e il 55% degli utenti è oggi disposto a pagare di più per questi prodotti”.

Agritessuti: la moda del futuro

Una filiera ancora da costruire, “ma di cui abbiamo il know-how, considerata la vicinanza tra le donne e la tradizione tessile”. Di cosa c'è bisogno, ora? Di comunicazione, diffusione del messaggio, ma anche di creare impianti di trasformazione diffusi sul territorio nazionale. Si chiamano Agritessuti e rappresentano un nuovo concetto di moda, che oggi coinvolge circa 2mila aziende agricole italiane, per un fatturato di 30 milioni di euro, “cifra che potrebbe triplicare già nel prossimo triennio, se la filiera venisse incoraggiata”.

Dagli scarti agricoli ai capi d'abbigliamento

Protagonisti di questo settore sono i produttori di canapa, lino, gelso da seta, fibre naturali, ma anche aziende agricole canoniche, che possono fornire gli scarti di produzione per le tinture naturali. Foglie di carciofo, per esempio, bucce di cipolla, residui di potatura di ulivi, ricci di castagno: ogni elemento che normalmente verrebbe gettato può dar vita a un nuovo materiale. È la base del concetto di economia circolare, sistema verso cui tante industrie stanno sempre più virando, per far fronte all'emergenza climatica e la crisi ambientale cui stiamo assistendo. Fondamentale soprattutto per un settore così in fermento come quello del tessile, che secondo la Cia-Agricoltori è destinato a crescere sempre di più: si stima, infatti, un consumo mondiale di indumenti superiore al 60% entro il 2030.

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La risposta all'inquinamento dell'industria tessile

Quello del cambiamento climatico è stato senza dubbio il tema dell'anno: dalle proteste studentesche ispirate dall'attivismo di Greta Thunberg alla lotta contro la plastica monouso, la tutela ambientale è oggi sempre più al centro di dibattiti e progetti. E il mondo della moda non fa eccezione: l'industria tessile è la seconda più inquinante al mondo, “responsabile del 20% dello spreco globale di acqua e del 10% delle emissioni di anidride carbonica”. Per produrre una maglietta occorrono in media 2700 litri d'acqua, 10mila nel caso di un paio di jeans. Senza contare l'impiego di fibre e coloranti sintetici, che a ogni lavaggio rilasciano un quantitativo di microfibre in grado di passare attraverso filtri e impianti di depurazione e raggiungere il mare, contribuendo così ad alimentare l'annosa questione delle microplastiche negli oceani.

Una nuova filiera tessile

L'obiettivo di Agritessuti è dunque quello di fornire un'alternativa ai capi d'abbigliamento sintetici, partendo dall'agricoltura, “che si dimostra in prima linea in questo processo di cambiamento, con le donne promotrici di un nuovo modo di vivere la moda nel rispetto del Pianeta”. Un progetto che coniuga abbigliamento, agricoltura e ambiente, proponendo soluzioni concrete per ampliare e migliorare il settore tessile, coinvolgendo nuovi attori di una filiera in grado di promuovere capi che siano belli, durevoli ed ecologici.

donneincampo.it/

a cura di Michela Becchi

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