Erano semplici osterie, ora si candidano a essere i migliori interpreti della cucina familiare e contadina di una volta, in chiave sia tradizionale sia contemporanea. L’evoluzione di un modello storico di convivialità porta le trattorie a essere avanguardia. Così, nel mensile di luglio del Gambero Rosso, siamo andati alla scoperta di questo fenomeno.
Gli interrogativi emersi con il Covid
Certo, l’emergenza Covid oltre ad aver cancellato per mesi i nostri incontri ai tavoli, ha anche rivolto a osti e clienti molti interrogativi. A partire da quello fondamentale: che senso ha la trattoria oggi, in un'epoca in cui sembra vietato anche darsi una pacca sulla spalla?
Tutto sommato, sembra che la voglia di convivialità non sia affatto sparita. Ma allora, come dovrà essere, come sarà la trattoria del dopo? In attesa di misurare e osservare le risposte che daremo noi tutti con i nostri comportamenti e le nostre scelte, proviamo a ripercorrere la storia, il ruolo e il senso delle trattorie italiane: raccontandone nascita e percorso evolutivo fino a oggi. Anche perché, mai come adesso, sempre più sembra essere la trattoria - in tutte le sue forme: tradizionale, moderna, contemporanea - il luogo dove si auspica di ripartire. Anche per ritrovare quella emozione di convivialità, familiarità, informalità a costi non eccessivi, che fino a febbraio scorso ci ha spinti a ritrovarci con le gambe sotto al tavolo, davanti a un bel bicchiere di vino e a un piatto riconoscibile.
La matrice francese
Proviamo a individuare la storia di questi luoghi del cibo per poterne capire appieno evoluzione e forma attuale. Se non è possibile indicare una data di inizio, un anno zero in cui la trattoria sia storicamente germogliata, è ipotizzabile collocare la sua comparsa in un periodo che coincide con la nascita del ceto borghese che iniziava a muoversi per lavoro e per turismo. La ristorazione è un fenomeno di matrice francese che nasce nelle more di quella Rivoluzione durante la quale, cancellata la monarchia, si assiste a una diaspora di cucinieri di corte che devono reinventarsi cuochi per i nuovi ricchi. In Italia, nella stessa epoca, si afferma invece la nascita delle osterie, luoghi di ritrovo per lo più del ceto popolare e molto diffusi sia in città che in campagna. In questi esercizi per lo più si beve, ed è centrale la figura dell’oste: uomo proverbialmente corpulento che sta al bancone e gira tra i tavoli a mescere vino o a venderlo per l’asporto.
Non solo vino
Ma le osterie divengono presto luoghi in cui al vino si affiancano via via cibi freddi, pane, salumi, formaggi e qualche conserva. Questo avvenne in special modo in centri urbani e borghi dove c’era richiesta, ad esempio in presenza di mercati, strade di comunicazione, uffici postali, banche. Nella prima metà dell’Ottocento iniziano a farsi strada anche locali in cui al vino si affianca una vera e propria cucina: una cucina popolare, quotidiana, fatta di insaccati (cotechini e salumi), minestre e zuppe dettate dalla stagionalità e dal calendario (baccalà, trippa al sugo, minestra di ceci, interiora). Se nell’Ottocento la figura maschile è centrale nella gestione del locale - dalla preparazione del cibo alla vendita e servizio del vino - sul finire del secolo il business comincia a coinvolgere tutta la famiglia anche per l’aumento della domanda da parte di avventori che si fanno sempre più clienti abituali.
Il ruolo delle donne
L’oste viene così affiancato dalle donne di casa (la moglie, le sorelle, le figlie, la madre) che trovano il proprio ruolo in cucina: non più quindi in mansioni domestiche, ma professionali. È un momento importante: se ci pensiamo bene, infatti, in Francia il fenomeno delle mères lyonnaises è stato riconosciuto come momento fondativo della cucina di Lione, oltre ad avere insegnato gesti e ricette a grandi chef come Paul Bocuse. In Italia, le donne hanno avuto un ruolo non meno importante: erano loro le depositarie di quelle cucine casalinghe, familiari e “regionali”, che uscendo dalle case sono andate a costruire l’universo della cucina italiana come la conosciamo oggi.
Da osterie a spaccio di paese
A inizio Novecento, le osterie sono molto diffuse sul territorio, in particolare si calcola che nel 1904 ne esistesse una ogni 174 persone, nel 1913 una ogni 156 (così dice il professor Fabio Parasecoli nel suo Food Culture in Italy, ed. Greenwood, 2004): molte di queste erano anche botteghe di paese che vendevano salumi, formaggi e conserve di acciughe e aringhe e più tardi anche bombole del gas. L’osteria, insomma, spesso era uno spaccio in cui fare la spesa, ma soprattutto un punto di ritrovo per gli uomini che di sera, dopo una giornata di lavoro nei campi, venivano qui per giocare a carte e bere un bicchiere di vino; poi, con il Miracolo Economico degli anni Sessanta, arrivarono pure la televisione quale ulteriore elemento aggregante, così come il telefono a gettoni.
Dopo una battuta di arresto dovuta alle guerre e al fascismo, la trattoria trova insomma nuovo impulso nel dopoguerra: il benessere favorisce il desiderio degli italiani di andare a mangiare fuori, al ristorante nelle occasioni più importanti e in trattoria per ritrovare gli stessi sapori di casa in un contesto confortevole.
Evoluzione e modelli differenziati
Abbiamo ricostruito un periodo storico nel tentativo di capire cosa sia la trattoria oggi, e come si sia distaccata dal modello primigenio. Attualmente il cosmo delle trattorie è piuttosto sfaccettato, ma esistono ancora molti locali storici in cui si rispettano e si coltivano quegli stessi valori: è il caso delle Premiate Trattorie Italiane, un’associazione nata allo scopo di salvaguardare un patrimonio che, prima di essere italiano, è familiare, locale, regionale. A questa associazione il Gambero Rosso ha dedicato un libro: un viaggio in un’Italia che, pur con tutte le differenze di storie, di ingredienti e di sapori, trova il comune denominatore nel farsi depositaria di saperi che si tramandano da generazioni e in cui si custodiscono non solo ricette, ma una sapienza che è insieme storia e geografia, usanze specifiche di ogni territorio.
“Storie di famiglie che si passano il testimone di generazione in generazione con l’intelligenza di non perdere la memoria, ma nello stesso tempo aprirsi al nuovo. Esemplari in questo senso le tredici storie che attraversano tutta la Penisola, dal Piemonte alla Sicilia. Storie molto diverse tra loro, quelle delle Premiate Trattorie Italiane, ma accomunate da un fortissimo fil rouge: attaccamento alle radici, sapori senza tempo, sani e puliti”. La citazione dall’introduzione al libro di Laura Mantovano ci aiuta a inquadrare cosa sia la trattoria italiana oggi: un locale a conduzione familiare in cui scoprire o riscoprire la genuinità di certe cucine tradizionali, ma con uno sguardo radicato nel presente, senza alcun immobilismo da museo. E magari – specie grazie ai giovani – qualche capatina nella più sfacciata contemporaneità.
Incontro e passaggio di generazione
C’è un incontro generazionale tra i padri e i figli che sempre più si fanno spazio tra la sala e la cucina, c’è una ricerca quotidiana, appassionata e indefessa sui vecchi ricettari, sugli aneddoti e le peculiarità che vengono riportati in tavola con sguardo inevitabilmente attuale ma rispettoso. E poi c’è il fronte umano, l’accoglienza che è inclusione e sincera umanità, senza artificio alcuno, ma che è un mestiere che necessita grande apprendistato per farsi nascosto e spontaneo. E molte di queste trattorie si caratterizzano, ora come allora, per avere un piccolo spazio dedicato alla dispensa, una piccola bottega in cui dopo il pasto si possono acquistare giardiniere – ogni trattoria ha la propria ricetta segreta! – conserve, sughi, pasta e ottime bottiglie di vino. Anche perché ogni trattoria possiede una cantina frutto di passione incondizionata, con piccoli produttori del territorio che trovano spazio accanto a grandi maison di Champagne e vini francesi. La vera cifra che contraddistingue queste trattorie, pertanto, è il farsi punto di riferimento del luogo in senso culturale più ampio, con una narrazione che parte dalla tavola per allargarsi ai piccoli agricoltori e allevatori, produttori di materie prime che costituiscono le eccellenze di ogni territorio.
Ma se è vero che la trattoria è il luogo che parla alla pancia senza implicazioni intellettualistiche, è anche vero che trattoria è un concetto sempre più fluido che può essere applicato alla contemporaneità e che disegna locali easy ma di qualità assoluta.
L'articolo completo lo potete leggere nel mensile di luglio del Gambero Rosso.
a cura di Sara Favilla
foto di Lido Vannucchi
QUESTO è NULLA...
Nel mensile di luglio del Gambero Rosso trovate l'articolo completo con i contributi del cuoco Damiano Donati, dell'antropologo Marino Niola, di Federico Malinverno (Presidente dell’Associazione Premiate Trattorie Italiane) e di Eugenio Signoroni (curatore Osterie d’Italia di Slow Food). In più, trovate la mappa con le migliori trattorie d'Italia e le migliori 10 trattorie contemporanee secondo il giornalista gastronomico Luca Iaccarino.
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