Sui dolci siamo ampiamente preparati, se non esperti: tra fritti dorati (dalla pasta all’uovo alle frappe, passando per le frittelle di riso della famiglia Savelli a Siena) e delizie farcite (come i classici ravioli), nei giorni "di grasso" la scorta di zuccheri è assicurata. Ma il Carnevale è fatto anche di piatti salati per allietare i pranzi familiari e snack appetitosi. Insomma, le idee non mancano e l'appetito vien mangiando (o leggendo: fra poco ve ne accorgerete). Per dovere di cronaca, abbiamo stilato una lista di portate principali tipiche della festa delle maschere capaci di tener testa a zeppole, castagnole e cicerchiata. Pronti a partire per un breve tour gastronomico da Nord a Sud?
Ricette salate di Carnevale
Smacafam altoatesino: la torta salata “ammazzafame”
Il nome lascia poco spazio all'immaginazione: composto dalle parole "smaca" ("ammazza") e "fam"("fame"), fa riferimento all'abitudine dei boscaioli altoatesini di consumare la pietanza nei giorni di festa, quando anche le famiglie più umili potevano concedersi un pasto sostanzioso. In effetti, reperire gli ingredienti per questa torta salata spessa e compatta era piuttosto difficile: si racconta che i bambini iniziassero a mendicarli per strada il 17 gennaio, durante la celebrazione di Sant'Antonio, cantando De Profundis e Miserere. Talvolta la ricerca proseguiva fino a Carnevale inoltrato o, comunque, fino a quando non avevano accumulato una scorta di grasso e farina sufficiente a preparare il piatto in grandi quantità; lo smacafam, infatti, con il passare dei giorni si rassoda e diventa ancora più buono. Gli ingredienti? Farina bianca o di grano saraceno, olio, latte, e uova per l'impasto; salsiccia lucanica e lardo, precedentemente rosolati in padella, per il ripieno. Il composto veniva cotto sotto la cenere fino ad assumere l'aspetto di un pasticcio morbido, leggermente abbrustolito in superficie, e consumato come piatto unico insieme a rape, indivia o tarassaco.
Fagioli grassi di Ivrea: un piatto ricco a base di legumi
I piemontesi li chiamano faseuj grass e li preparano a debita distanza dai giorni di Quaresima, in cui è vietato consumare carne. I fagioli grassi, nati nel Canavese e diventati simbolo del Carnevale di Ivrea, sono la testimonianza più evidente di come anche un semplice piatto di legumi possa trasformarsi in una pietanza "barocca", golosa e saziante. Si dà il caso che durante il Medioevo venissero distribuiti al popolo affamato dalle confraternite religiose, dopo essere stati cotti in grandi calderoni all'aperto; gli abitanti del luogo li cucinano ancora nella tofeja, una pentola di terracotta a quattro manici che -assicurano- conferisce alla ricetta un sapore senza eguali.
Oggi le fagiolate in piazza sono diventate un'occasione per organizzare eventi di beneficienza e consegnare pasti caldi alle persone senza fissa dimora. L'usanza è rimasta invariata: nella notte fra il sabato e la domenica gli addetti ai lavori lasciano sobbollire quintali di borlotti insieme a salamelle, cotiche di maiale, cipolla, rosmarino, alloro e olio buono; in questo modo si ottiene uno stufato cremoso e saporito, da accompagnare con verdure cotte e pane bruscato. La scarpetta è d'obbligo!
Gnocchi veronesi e pastissàda. La specialità tipica del Bacanal
A Verona, sede di una delle sfilate carnevalesche più antiche d'Italia (le cui prime testimonianze risalgono a 400 anni fa), l'ultimo venerdì di festa si svolge il celebre Bacanal del Gnoco, istituito da Tommaso da Vico per distribuire ai poveri cibi semplici come pane, formaggio, burro e.…gnocchi! Il medico veronese, infatti, fu scelto dalle autorità per sedare l'assalto ai forni degli abitanti poveri, duramente colpiti dal sacco del Lanzichenecchi nel 1530. In tempi di carestia, ovviamente, sarebbe stato assai difficile procurarsi uova e tuberi, dunque il piatto -inizialmente composto da un semplice impasto di acqua e farina- si arricchì di ingredienti “grassi” nei secoli successivi. Oggi viene preparato secondo la classica ricetta degli gnocchi di patate e condito con la pastissàda, uno stracotto di carne di cavallo, vino rosso e cipolla; ottima anche la versione in bianco a base di burro, parmigiano e salvia. La sua mascotte è Papà del Gnoco, la maschera più importante del Carnevale di Verona: ancora adesso, i cittadini che scelgono di interpretarlo durante gli eventi pubblici ricevono in dono un piatto di gnocchi fumante.
Ravioli incaciati di Ascoli Piceno. Un mix di sapori esplosivo
Poco noti -ma non meno golosi- rispetto a quelli farciti con cioccolato e confettura, i ravioli del Piceno racchiudono un mix di parmigiano reggiano, pecorino stagionato, pane raffermo, noce moscata, cipolla, uova e carne di gallina. Il procedimento richiede due giornate intere di lavoro, che iniziano con la preparazione del brodo di gallina e si concludono con la stesura della sfoglia all’uovo. La cottura dipende dai gusti dei commensali: c’è chi li frigge nell’olio extravergine, omaggiando la tradizione carnevalesca, e chi preferisce tuffarli in acqua bollente secondo la vecchia maniera.
Immancabile la spolverata di formaggio grattugiato in superficie, da cui deriva il nome del piatto; nella maggior parte dei casi gli ascolani mescolano due dosi di pecorino e una di parmigiano insieme alla cannella in polvere, che conferisce alla pietanza un retrogusto lievemente dolciastro. Vi consigliamo di provarli sia caldi, che freddi: il sapore cambia completamente, ma vi conquisterà in entrambi i casi.
Frzzul, sausizz e rafanata. Il piatto forte del Carnevale di Aliano
Il nome suona come uno scioglilingua. Non a caso, questa ricetta viene spesso definita “grande trittico del Carnevale alianese”, per sottolineare l’abbinamento tra pietanze separate che nei giorni di festa formano un piatto unico da acquolina in bocca. Ma andiamo con ordine: i frzzul (o frizzoli) sono dei maccheroni tipici della cucina lucana, diffusi anche in Calabria, che vengono modellati avvolgendo la pasta intorno a un ferretto o a un rametto di ginestra, scottati in acqua bollente e conditi con sughi corposi, prevalentemente a base di carne. Da qui l’usanza di abbinarli alla sausiz, la salsiccia di maiale fatta rosolare in padella a fuoco basso con un mix di aromi, senza aggiunta di olio. E la rafanata? Da sempre consumata nel periodo compreso tra il giorno di Sant’Antonio Abate (17 gennaio) e il Martedì Grasso, rappresenta una delle preparazioni culinarie più antiche della regione. Il nome trae origine dal rafano rusticano, una radice dal sapore piccante e balsamico, anche detta “tartufo dei poveri”. Nel caso specifico, il rizoma viene usato fresco (subito dopo la raccolta) per arricchire una sorta di frittata al forno a base di uova, pecorino e strutto. È tradizione sbriciolare la rafanata fredda sui frizzoli prima dell’impiattamento.
Carnevale in Campania: scarpella di Castelvenere e pizza di Sorrento
Durante il Carnevale, gli abitanti della Campania danno sfogo alla propria creatività realizzando numerosi piatti salati. Fra questi spicca la lasagna di Castelvenere, anche detta scarpella, un capolavoro di stratificazione che differisce dalla ricetta originaria per l'uso della pasta secca (ognuno sceglie il proprio formato preferito, ma i più diffusi sono i mezzi ziti e i perciatelli). In ogni caso, la pasta viene lessata, condita con olio extravergine e inserita in un'apposita pirofila unta di strutto; poi si aggiungono uova sbattute, primo sale vaccino, pecorino stagionato e salsicce essiccate. Ancora una volta, parliamo di un piatto tipicamente contadino, che ricorda la carbonara, l'agnello "cacio e ovo" abruzzese e il timballo di scrippelle teramano.
Il suo alter ego in versione rustica è la pizza di Carnevale di Sorrento, una variante della pizza chiena napoletana che prevede l’impiego della pasta brisée al posto della sfoglia. Nel mezzo un ripieno di uova, ricotta, mozzarella, grana, salsiccia sbriciolata e friarielli ripassati in padella: non a caso, questa pizza farcita è stata sempre considerata un’efficace “cura preventiva” contro i cali di energie del digiuno quaresimale.
Minestrone di Modica e "pasta a cinque": i primi piatti del Carnevale siciliano
Il minestrone del Giovedì Grasso modicano ribalta gli schemi della zuppa calda tradizionale. Al suo interno, infatti, viene inserito un ingrediente molto più appetibile delle verdure: il lardo di maiale, privato della cotenna e tagliato grossolanamente a pezzettoni. Ce lo racconta Serafino Amabile Guastella nel suo libro Il carnevale della contea di Modica del 1886, spiegando che un tempo la ricetta prevedeva l'aggiunta di altri tagli di carne grassi e saporiti, come la pancetta, le puntine e le costine, fatte soffriggere con cipolla e salsa di pomodoro fino a raggiungere una consistenza morbidissima. Tra gli ortaggi non mancavano mai patate, fave e verdure a foglia verde; nei casi più fortunati, poi, le famiglie povere arricchivano la zuppa con i cavatelli di grano duro.
Decisamente più articolata la preparazione della pasta a cinque buchi, regina del Carnevale catanese nata dall’errore di un pastaio e “adottata” dalla cucina popolare come simbolo di abbondanza durante i festeggiamenti carnevaleschi. Protagonista del piatto, un maccherone capace di incorporare perfettamente il sugo, condito quasi sempre con salsiccia, costate e puntine di maiale. Impossibile evitare il bis!
a cura di Lucia Facchini