Stretta fra il Mar Ionio e il Mar Tirreno, su un lembo di terra che sfuma gradatamente dalla Basilicata alla Calabria, si estende una delle oasi naturalistiche più vaste d'Europa: il Parco Nazionale del Pollino. «Una perla rara, come si suol dire, non solo perché vanta una superficie di quasi 200 000 ettari», osserva il Presidente Domenico Pappaterra, «ma anche perché gli abitanti, distribuiti in 56 comuni (24 sul versante lucano, 32 su quello calabrese) sfiorano quota 170 000. E i visitatori non sono da meno: al netto del rischio di contagio, infatti, il 2020 ha visto moltissime persone abbandonare i grandi agglomerati urbani per riversarsi nei nostri borghi di montagna, con tutte le precauzioni del caso. La zona di maggiore attrattiva turistica? Il geoparco riconosciuto dall'UNESCO nel 2015, che gestiamo con una duplice azione di tutela, in ottica conservativa e sostenibile. Ne fanno parte quattro siti di importanza globale: le Gole del Raganello, un imponente canyon di 13 Km caratterizzato da scalini di pietra, pareti rocciose e cascate dalle acque limpidissime, che si estende dalla sorgente Lavia al Ponte del Diavolo; la Grotta del Romito, in cui sono stati scoperti resti umani risalenti a 24 000 anni fa; Timpa delle Murge e Timpa di Pietrasasso, dove si possono ammirare colate laviche sottomarine emerse in superficie per effetto di eventi tettonici (affioramenti ofiolitici), che ancora oggi conservano la tipica forma originaria a "cuscino"(pillows lava)».
Il trait d'union fra due regioni tanto diverse come la Basilicata e la Calabria, dunque, sta tutto nella complessità dei fenomeni geologici che hanno cambiato volto al paesaggio montuoso del Pollino. Anche la varietà floristica, però, rappresenta un prezioso indicatore dell'evoluzione terrestre dai primordi fino a oggi. «Ne sono un esempio la Faggeta Vetusta di Cozzo Ferriero a Rotonda, in provincia di Potenza, che ha ampiamente superato il mezzo secolo di vita, e il pino loricato delle zone altomontane, un "albero-fossile" presente solo qui e nei Balcani, giunto in Italia per via del riassestamento geografico indotto dalle glaciazioni; il nome si deve all'aspetto del tronco, che ricorda la corazza indossata dai legionari romani per difendere il torace durante i combattimenti. Inoltre, grazie a uno studio condotto in collaborazione con l'Università della Tuscia, abbiamo recentemente scoperto che nelle nostre zone vive il pino più vecchio d'Europa: un esemplare di 1230 anni soprannominato "Italus"». Ma c'è di più.
«Tra i boschi si aggirano animali di tutti i tipi, dal lupo al gatto selvatico, passando per lontre, tassi e volpi. Un caso eccezionale è quello del capriolo italico, che stiamo tutelando con tutti i nostri sforzi dopo anni di intensa pressione venatoria». Immergersi nell'oasi protetta significa godere di queste ed altre meraviglie, cogliendo anche l'occasione per esplorare i paesi limitrofi. «Cinque di essi (Civita, Morano Calabro, Aieta, Buonvicino e Viggianello) sono stati inseriti nella rete dei Borghi più belli d'Italia. Vorrei poi sottolineare il valore culturale delle comunità Arbëreshë (italo-albanese), dedita a una serie di rituali che attirano turisti e studiosi da ogni angolo del mondo e depositaria di un idioma particolare, salvaguardato dalla legge nazionale».