Che The pot au feu, premiato sabato 27 maggio a Cannes per la miglior regia, sia un film non sulla cucina, ma "di cucina", lo si capisce dai primi 35 minuti che sono interamente dedicati alla preparazione di un pranzo per gli amici gourmet dello chef Dodin Bouffant. In effetti ai fornelli è la "cuciniera" Eugenie, che lavora con lui da 20 anni, ed è diventata la sua compagna: dopo un apparentemente dimesso consommè, si parte assaggiando un Vol au vent con aragostine, quinto quarto e verdure, per proseguire con una sogliola cotta al forno con latte e limoni, accompagnata da patate bollite, e finire prima degustando un vitello laccato con burro e miele, accompagnato da verze arrostite, dopo una Baked Alaska, il tutto annaffiato da Puligny Montrachet e Clos de Veugeot.
The pot au feu, il film presentato a Cannes
Ci troviamo nel 1885, come precisa il romanzo cui il regista Tran Anh Hung, naturalizzato francese, si è liberamente ispirato, La vita e la passione di Dodin Bouffant, gourmet, scritto da Marcel Rouffe nel 1924, un libro che si serve della cucina per raccontare la storia d'amore fra Dodin ed Eugenie, la cui "prova" risiederebbe nella loro complicità mentale assoluta, cioè nella capacità di Eugenie nel saper mettere in pratica i piatti ideati da Dodin, come sostengono gli amici dello chef. È vero che lo schema (un pò datato) sarebbe sempre quello che dietro un grande uomo c'è una grande donna, ma Juliette Binoche, che interpreta Eugenie, invece di dire (nella conferenza stampa al festival di Cannes, in cui la pellicola partecipa, in concorso) che il film avrebbe acquisito in modernità se i ruoli fossero stati invertiti, ha respinto ogni potenziale accusa di uno sguardo un po' al maschile dicendo invece che "è importante che ognuno trovi il posto giusto nel mondo", tant'è che Eugenie, dopo aver finalmente accettato la proposta di matrimonio di Dodin, alla sua domanda "io sono più la tua donna o la tua cuciniera?" è felice che lo chef risponda "la mia cuciniera", perché secondo il film la capacità di cucinare insieme equivale alla capacità di amarsi.
L’intimità al centro della cucina
Il tutto sarebbe anche una metafora, ha dichiarato a Cannes lo chef tristellato francese Pierre Gagnaire, che ha curato da consulente la preparazione dei piatti presenti nel film: "Quel tipo d'intimità è anche simbolo dell'intesa che dovrebbe esistere fra uno chef e il suo secondo, se si vuole che i piatti riescano bene", condendo poi la frase con altri incisi molto di moda, a livello di alta ristorazione ("bisogna saper ascoltare la materia prima", "la cucina è l'incontro fra tecnica ed emozione", "la brigata assomiglia, in termini organizzativi, a una troupe cinematografica").
Al centro del film ci sarebbe dovuto essere il noto Pot au feu, che Dodin avrebbe dovuto cucinare per il Principe di Eurasia in quanto simbolo della Francia, ma poi Eugenie - piuttosto critica rispetto alla scelta del piatto - purtroppo morirà, sovvertendo il finale della storia.
Il film consta di un altro grande pranzo che Dodin prepara a una Eugenie convalescente, con piatti a base di ostriche, caviale e tartufi, innaffiati da Champagne e Chambolle Musigny, ed è in quel mentre che vengono pronunciate due frasi tanto affascinanti, quanto discutibili: "si da più gioia nel creare un nuovo piatto, che a scoprire una stella" e "il matrimonio è un pranzo che inizia con il dessert". Già, ma come la mettiamo con quei coniugi appassionati di astronomia che preferiscono il salato, al dolce?