Tra gli effetti collaterali del Covid-19 nella ristorazione c’è un diffuso incremento dei prezzi. Se è vero che tra le tendenze spopola quella del “casual dining” (un esempio su tutti DaV Milano, bistrot elegante al primo piano della Torre Allianz a cura della famiglia Cerea di Vittorio a Brusaporto), che nel caso di insegne di alto profilo può rimodulare l’esperienza da esclusiva a inclusiva nel senso letterale dei termini, i dati parlano chiaro. L’Osservatorio Confimprese-Jakala registra nel primo trimestre del 2023 un incremento dei conti di quasi il 18% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, e persino la pizza (dati ISTAT) costa il 14% in più rispetto a giugno 2021. Ma forse non basta. “Se vogliamo andare a cena fuori tre volte a settimana con meno di 30 euro di spesa per serata, per un menu completo, andiamo incontro inevitabilmente a irregolarità”, sostiene Dario Odifreddi, che dal 2004 è presidente di una struttura multidisciplinare (c’è anche il ristorante omonimo, 1 forchetta sulla Guida Ristoranti 2023) e si occupa di formare e introdurre nel mondo del lavoro ragazzi spesso provenienti da realtà disagiate. Il quale aggiunge “i clienti devono imparare a pagare di più”. E forse guadagnare in consapevolezze.
Prezzi di un ristorante: dal foodcost alla retribuzione del personale
Il fatto è che il cibo pesa meno della metà delle spese complessive del ristoratore, che investe di media circa il 45% nella retribuzione del personale. Ma quello del cameriere, come noto ormai, è un ruolo chiave che richiede un investimento e una formazione, nonché mestiere ancora infestato da paghe scarse e spesso in nero. “Molti giovani scappano quando capiscono che non si vive come in Masterchef, ma si guadagna poco e si lavora tanto”, continua il presidente di Piazza dei Mestieri (fondazione torinese che ogni anno forma 5mila giovani italiani e stranieri nel settore della cucina e del servizio di sala). “Serve un reddito dignitoso. Ci sono contratti della filiera che arrivano a malapena a 6 euro l’ora. Finisce poi che sono i ragazzi a chiedere di essere pagati fuori busta. Così non va”. Un “buco nero” nel bilancio di cui il cliente finale difficilmente si rende conto. Se non si inietta linfa in questo senso, continua Odifreddi, si distrugge “un settore vitale e anche le prospettive turistiche delle città. I ragazzi non sono mica scemi”.
I giovani e il lavoro nella ristorazione
I giovani vogliono stipendi sicuri e sabati e domeniche di riposo, insomma. “La prima domanda che mi sento rivolgere da molti ragazzi durante i colloqui è se possono avere il weekend libero. Io questi qui non li prendo nemmeno in considerazione, non li voglio più vedere”, dichiarava Flavio Briatore in un’intervista del 22 aprile sempre sul Corriere, uno che sul tema della carenza di personale ha avuto parecchio da dire e che solo pochi giorni fa ha rincarato la dose dichiarando che il figlio Nathan dopo il liceo macinerà stagioni in uno dei locali paterni. “Ho una ventina di indirizzi tra Italia ed estero: non ho problemi di reclutamento di personale a Dubai, non ho problemi in Arabia Saudita. Ho problemi in Italia, in Inghilterra e un po’ anche in Francia. In Inghilterra più a causa della Brexit, in Italia soprattutto a causa del reddito di cittadinanza, che è diventato la vera ambizione dei giovani”.
I costi del ristorante, dal punto di vista del cliente
Ma spostando la lente dalla parte dei consumatori, il punto è: quanto sei disposto a pagare per essere “attenzionato” dal personale, per non aspettare troppo per la tua pizza, perché sul tavolo il bicchiere sia sempre mezzo pieno e per non essere scaraventato fuori dal ristorante in un’afosa serata di luglio allo scoccare del secondo turno? Dai commenti pubblicati a margine della dichiarazione la risposta pare sia “poco o niente”. In generale l’impressione è che conta di più quello che c’è nel piatto di tutto il contorno, e che il nodo critico sia nella tassazione e nei costi d’impresa troppo alti. “Pagare di più è una frase che mi disturba. Sarei disposto invece a pagare di meno pur avendo buona qualità, in un locale dove usano il sistema tipo mensa aziendale, che ridurrebbe i costi, lasciando la stessa qualità. E che mi importerebbe se devo essere io a scorrere con un vassoio? Alla fine di tutto conta il conto. E il buon mangiare” leggiamo su sito del Giornale. C’è da crederci?