In Italia si possono lasciare le mance con la carta di credito. Ma nessuno (o quasi) lo sa

28 Ago 2023, 19:24 | a cura di
Dall'inizio del 2023 le mance si possono lasciare anche con carta di credito o altri metodi di pagamento elettronico.

Quando si parla di mance, tornano in mente i mille aneddoti che alimentano la letteratura ristorativa. A volte paradossali, spesso sorprendenti come quelli che hanno riempito le cronache dell'agosto bollente degli scontrini pazzi o a volte molto ingenui: dallo sceicco che ha lasciato una mancia faraonica nelle Cinque Terre – 1800 euro – alla protesta di un cameriere in Costa Azzurra per un extra a suo dire troppo basso, era di 500 euro, ne pretendeva almeno il doppio. Pretesa curiosa, data forse dall'abitudine a gratifiche a tre zeri in una zona molto ben frequentata.

Per quanto sia di uso comune, però, in questa parte del mondo lasciare un extra insieme al conto non è un obbligo né reale né morale. Piuttosto è un'abitudine, gradita certo (non crediate sia sempre così: in alcuni Paesi, per esempio il Giappone, viene vista come un'offesa) ma non dovuta. E dunque non sempre elargita, tanto più che con la diffusione dei pagamenti elettronici non è raro trovarsi senza contanti in tasca cosa che, fino a poco tempo fa, ostacolava chi voleva lasciare una ricompensa per il service charge. Come distinguere tra prezzo della cena e tips se il pagamento viene fatto in un'unica transazione al ristorante? E come la mettiamo con le imposte su quella cifra aggiunta a titolo volontario e poi (auspicabilmente) girata ai dipendenti? Una piccola questione intricata, risolta dalla Legge di Bilancio del 2023 (la n. 197 del 29 dicembre 2022, all’art.1 commi da 58 a 62, per la precisione) che ha messo ordine sul tema mance. Ma prima c'è una cosa da sapere.

Le mance fanno parte del reddito

Le mance, erogate liberamente dal cliente, fanno parte a tutti gli effetti del reddito da lavoro dipendente (così come ogni emolumento, compenso, donazione remuneratoria, indennità corrisposta da terzi e non dal datore di lavoro, sulla base che senza quel lavoro non sarebbero state date). In quanto parte del reddito sono soggette a tassazione. E questo non da ora ma dal 1997, secondo il principio di onnicomprensività del reddito da lavoro dipendente, in virtù del quale costituisce reddito imponibile ogni compenso percepito in ragione dell’attività lavorativa svolta (Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) Capo IV, art. 51, comma 1). Una definizione che non lascerebbe alcun dubbio, ma solo sulla carta: negli anni infatti su questa norma si è molto dibattuto, tanto che nel 2021 la Corte di Cassazione (cfr. Cass. 26512/2021) si è pronunciata confermato l’integrale imponibilità delle mance: “in tema di reddito da lavoro dipendente, le erogazioni liberali percepite dal lavoratore dipendente, in relazione alla propria attività lavorativa, tra cui le cosiddette mance, rientrano nell’ambito della nozione onnicomprensiva di reddito fissata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 51, comma 1, e sono pertanto soggette a tassazione”.

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In buona sostanza le mance devono essere dichiarate e tassate come il resto del reddito, altrimenti si tratta di soldi percepiti in nero. Avete mai sentito qualcuno inserire nella dichiarazione dei redditi le mance ricevute? Noi no. Ma questo non significa che ci sia chi, invece, lo fa.

Le novità del 2023: la mancia elettronica e la tassa al 5%

Dunque la novità introdotta dalla Legge di Bilancio del 2023 non riguarda l'imponibilità delle mance, ovvero il fatto che su di esse si debba pagare le tasse, ma che queste siano sottoposte a un regime specifico nel caso di esercizi ricettivi (hotel e simili) e di somministrazione di alimenti e bevande (come bar o ristoranti). Per questi le mance corrisposte dai clienti ai lavoratori “anche attraverso mezzi di pagamento elettronici” sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’IRPEF (e delle relative addizionali regionali e comunali), nella misura ridotta del 5%, a meno di esplicita rinuncia scritta da parte del prestatore di lavoro. Questo a patto che le mance non superino il 25% del totale del reddito del dipendente e che questo, complessivamente, non superi i 50mila euro l'anno. Oltre tale limite, e per la sola eccedenza, le mance sono sottoposte a tassazione ordinaria con aliquota IRPEF progressiva.

A “stornare” la parte dovuta dal dipendente da quella dell'azienda, ci pensa il datore di lavoro cui viene formalizzato il ruolo di sostituto d'imposta. Non un impegno da poco: in un mondo lavorativo molto frammentato, in cui molti lavoratori dipendenti hanno più rapporti di lavoro di lavoro nei 12 mesi (basti pensare agli stagionali), il datore deve avere in mano la situazione di ognuno dei suoi collaboratori anche al di fuori del proprio rapporto lavorativo. Gravando ulteriormente una situazione burocraticamente già molto complessa.

Cosa cambia per i consumatori?

Poco e niente, se non che è possibile lasciare la mancia anche con pagamenti elettronici (quasi un'utopia, in un Paese in cui ancora c'è chi accetta pagamenti solo in contanti). "Non serve un software particolare" spiega Roberto Calugi, direttore Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, "e un buon metodo potrebbe essere quello di aggiungere lo spazio per la mancia, da compilare liberamente, al preconto".

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Il testo della Legge di Bilancio

Art. 1 commi da 58 a 62 della legge 29 dicembre 2022, n. 197 “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025” (G.U. del 29 dicembre 2022, ser. gen. n. 303).

  • 58. Nelle strutture ricettive e negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui all’articolo 5 della legge 25 agosto 1991, n. 287, le somme destinate dai clienti ai lavoratori a titolo di liberalità, anche attraverso mezzi di pagamento elettronici, riversate ai lavoratori di cui al comma 62, costituiscono redditi di lavoro dipendente e, salva espressa rinuncia scritta del prestatore di lavoro, sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali con l’aliquota del 5 per cento, entro il limite del 25 per cento del reddito percepito nell’anno per le relative prestazioni di lavoro. Tali somme sono escluse dalla retribuzione imponibile ai fini del calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale e dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali e non sono computate ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto.
  • 59 Qualora le vigenti disposizioni, per il riconoscimento della spettanza o per la determinazione, in favore del lavoratore, di deduzioni, detrazioni o benefìci a qualsiasi titolo, anche di natura non tributaria, facciano riferimento al possesso di requisiti reddituali, si tiene comunque conto anche della quota di reddito assoggettata all’imposta sostitutiva di cui al comma 58.
  • 60. L’imposta sostitutiva di cui al comma 58 è applicata dal sostituto d’imposta. 6
  • 61. Per l’accertamento, la riscossione, le sanzioni e il contenzioso si applicano, in quanto compatibili, le ordinarie disposizioni in materia di imposte dirette.
  • 62. Le disposizioni dei commi da 58 a 61 si applicano con esclusivo riferimento al settore privato e per i titolari di reddito di lavoro dipendente di importo non superiore a euro 50.000».

 

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