tello bello, il prosciutto crudo, migliore per definizione, più ricercato e meglio pagato. E il fratello minore, il prosciutto cotto, relegato al ruolo cadetto come immagine e prezzo. A meno che non nasca appositamente per essere una specialità: cosce selezionate di suino disossate, sgrassate e toelettate come si deve, cottura lenta a vapore, soprattutto una salamoia con un mix contenuto di aromi che vince per sottrazione.
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La legge (il decreto del 21 settembre 2005 del Ministero delle Attività Produttive) distingue tre tipologie di prodotto: prosciutto cotto; prosciutto cotto scelto, con un tasso di umidità sotto il 78,5% e identificabili almeno tre dei quattro muscoli principali della coscia intera del suino (sottofesa, fesa, noce e magatello: indice che non si tratta di un prodotto “ricostruito”); prosciutto cotto alta qualità, sempre da cosce intere, con umidità non oltre il 75,5% e privo di polifosfati aggiunti, proteine del latte e di soia (che trattengono l’acqua), amidi, fecole, gelatine alimentari.
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Quasi tutti i prosciutti assaggiati sono industriali (per fare questo tipo di salume è dura essere artigiani: ci vogliono macchinari e tecnologie appropriate) e di alta qualità. Non solo. Alcuni dichiarano di non contenere glutammato, derivati del latte, glutine, aromi. La faccia del prosciutto deve essere di colore roseo di diversa intensità, umida, leggermente marezzata (con infiltrazioni di grasso nel tessuto magro), con uno spessore di grasso sottocutaneo importante (indica che la coscia proviene da suini italiani pesanti) e sodo; assenti fessurazioni, sacche di gelatina, ematomi e riflessi metallici.
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Al naso e in bocca si avvertiranno sensazioni primarie di carni suine e di spezie dosate, di intensità e persistenza equilibrate, senza note acide e di sapidità finta ed eccessiva (che tradisce la presenza del glutammato), una consistenza succosa e solubile, un'alta masticabilità.
Quando il cotto è di spalla
Piaceva al maestro Verdi, suo storico estimatore, piace ai buongustai evoluti ed esigenti. È la spalla cotta di San Secondo, salume tradizionale della Bassa Parmense ricavato dal quarto anteriore del suino, legato a mano e stagionato circa un mese. Un “cotto” più fibroso e tenace rispetto a quello classico perché la spalla ha più muscoli della coscia e traina l'animale, ma non per questo meno saporito, tutt'altro. Eccellente, per l'ottima materia prima e la concia equilibrata che lascia campo libero alle carni suine, la spalla cotta di San Secondo dell'Antica Corte Pallavicina (alias Massimo Spigaroli, “quello” del culatello di Zibello). Lo trovate a Polesine Parmense (www.acpallavicina.com) e nell'alta gastronomia.
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La versione Pata Negra
Se il Patacotto, il prosciutto cotto di Pata Negra di Real Group, avesse potuto competere con gli altri prodotti sarebbe arrivato primo. Ma è un'altra storia, un'altra categoria di prodotto, per quella leggera nota di fumo che completa la lavorazione e dà al gusto una marcia in più. Due marce in più. Sarà per la materia prima: cosce di suini neri iberici allevati bradi e a ghianda in Spagna (importate dall'azienda parmense appena macellate, www.realgroupsrl.it). Sarà per la lavorazione garantita da un grande del cotto artigianale italiano, Branchi di Felino (date un'occhiata alla classifica!). Sta di fatto che non ci ha fatto rimpiangere il crudo Pata Negra. In vendita in boutique gourmet (a Roma Roscioli e Liberati, a Milano Masseroni, a Parma La Casa del Formaggio...) a 4,5-5 euro l'etto.
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Mara Nocilla
luglio 2011
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