Apre a San Sebastián il più grande impianto di carne coltivata al mondo

12 Giu 2023, 16:28 | a cura di
In Europa le aziende di food tech mettono il turbo nella produzione di carne coltivata in laboratorio. La Spagna fa da apripista. Intanto gli italiani imparano ad approcciare ai cibi alternativi

È di qualche giorno fa l'annuncio da parte di JBS, colosso brasiliano considerato il più grande produttore di carne bovina del pianeta, della costruzione in Spagna - a San Sebastián - del suo primo impianto su scala commerciale per la produzione di carne coltivata in laboratorio, attraverso la sua controllata BioTech Foods. La struttura dovrebbe essere completata ed entrare in funzione nella prima metà del 2024. Lo stabilimento, che secondo JBS sarà la più grande fabbrica di carne coltivata in laboratorio al mondo, dovrebbe produrre più di 1.000 tonnellate di carne bovina all'anno, ma si punta a espandere la capacità a 4.000 tonnellate annuali nel medio periodo. Un annuncio che, in un periodo di corsa alla ricerca scientifica su questo tipo di tecnologia, non sorprende, soprattutto dopo l'acquisizione nel 2021 del 51% nella BioTech spagnola da parte di JBS con un accordo da 100 milioni di dollari di cui 41 destinati alla costruzione dell'impianto. "Con le sfide imposte alle catene di approvvigionamento globali, le proteine ​​coltivate offrono il potenziale per stabilizzare la sicurezza alimentare e la produzione globale di proteine", ha affermato in una nota il co-fondatore e CEO di BioTech Foods Iñigo Charola. Per ora si sa che la tecnica utilizzata è quella che impiega il prelievo di un campione di cellule raccolte dal bestiame e cresciute in un tessuto simile a quello prodotto nel corpo dell'animale.

carne coltivata

Le caratteristiche dell'impianto di carne coltivata di San Sebastián

Un annuncio che arriva dopo quello di Believer Meats dello scorso dicembre, che ha dichiarato la costruzione di una struttura di 18mila metri quadri a Wilson, nella Carolina del Nord, che dovrebbe avere una capacità produttiva di addirittura 10mila tonnellate all'anno. Molto superiore rispetto all'impianto spagnolo che però pare sia più grande (sorgerà su un terreno di 20mila metri quadri). L'investimento per ora si attesta sui 41 milioni di dollari e si prevede la creazione di 150 posti di lavoro. "Questo mercato dovrebbe registrare un'enorme crescita nel prossimo decennio, con fonti che indicano che, entro il 2032, il 12% delle proteine ​​consumate nel mondo proverrà da questo tipo di sistema di produzione alimentare più equilibrato", ha dichiarato Íñigo Charola.

L'indagine di Uber Eats sui cibi alternativi in Italia

In un contesto come questo, di corsa a soluzioni "green" e sostenibili nella produzione di cibi ad alto valore proteico, gli italiani non sembrano così spaventati come si vorrebbe far credere, nonostante il tema della carne coltivata in laboratorio susciti molte prese di posizione e polemiche, come quella di Slow Food che si dichiara contraria adducendo motivazioni diverse, tra cui la mancanza di un legame con la storia e le tradizioni gastronomiche italiane e la mancanza di naturalità di questa produzione, oltre che i costi (che potrebbero diminuire in tempi rapidi, nel momento in cui paertisse la diffusione su larga scala) e il coinvolgimento degli stessi protagonisti dell'attuale filiera della carne, come nel caso di JBS.

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Un'indagine di Uber Eats ci rivela che il 69% degli intervistati sarebbe disposto a sperimentare piatti e diete alternative. Nella classifica dei cibi alternativi che gli italiani sarebbero disposti a consumare, ci sono in primis gli alimenti bio (che possiamo affermare ormai non essere più alternativi) per il 63% degli intervistati, seguiti da carni sintetiche (59%), cibi preparati con farina d’insetto (54%) e pasta di microalghe (49%). Soltanto il 31% dei soggetti intervistati non sarebbe disposto a sperimentare cibo alternativo, il che significa che circa 7 italiani su 10 sarebbero propensi a provare piatti o diete diverse da quelle abituali. Il motivo principale è la voglia di provare nuovi sapori (65%) seguito da ragioni etiche ovvero per favorire sistemi di produzione a basso impatto ambientale (61%), ma anche per risparmiare (57%).

 

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