Concorso "Il miele in cucina". Ma il miele dov'è?

16 Nov 2011, 18:23 | a cura di

Un premio gastronomico è un'occasione per puntare i riflettori su un prodotto e per promuoverlo. Almeno dovrebbe essere così. Il concorso nazionale enogastronomico “Il miele in cucina”, organizzato dall'associazione le Città del Miele e indirizzato agli istituti alberghieri professionali presenti su territor

i, anche limitrofi, delle Città del Miele, è stata un'occasione mancata. Non è colpa dell'associazione, che da dieci anni si batte per la promozione e la tutela della qualità e delle diverse identità di questo meraviglioso alimento italiano. Non è colpa degli allievi (classi terze e quarte) degli istituti alberghieri, che ci hanno messo impegno e passione. Il concorso, che nella sua prima edizione si è svolto il 29 ottobre scorso a Châtillon, in Valle d'Aosta, presso le sedi dell'istituto alberghiero locale, è stata la cartina di tornasole di un scollamento che c'è nei diversi settori dello sfaccettato e a volte complesso mondo della gastronomia, in particolare tra comparto del miele, formazione e alta gastronomia. Ma procediamo con ordine.

 

Il fatto - Vincitori del primo premio

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Tre le tematiche scelte per questa prima edizione del premio: pasta secca e pasta fresca per la sezione Cucina, cocktail per la sezione Bar. I ragazzi ai quali è stato assegnato il primo premio da due giurie - di sindaci delle Città del Miele e di tecnici – scelti tra i 15 concorrenti in lizza: Giancarlo Guglielmo dell'istituto Marchitelli di Villa Santa Maria (CH) per la Pasta Secca con lo Spaghettoro Verrigni al ragù bianco d'agnello mantecato alla ricotta di pecora e miele di castagno; Luca Del Padrone dell'istituto G. Minuto di Marina di Massa per la Pasta Fresca con i ravioli di ricotta e castagne con guanciale al miele d’acacia della Lunigiana; Andrea Conti, sempre dell'istituto di Marina di Massa, per la sezione Bar con il cocktail Honey’s Richies a base di miele millefiori della Toscana mescolato ad arancia pestata in mortaio.


Considerazioni

Le cose che hanno fatto scattare la riflessione sono stati la scelta dei mieli e il loro uso nei piatti proposti. O meglio: non uso. Il dolce dono delle api, che doveva essere protagonista dell'evento, latitava nelle preparazioni in concorso sia nel sapore che nella presenza visiva. Eppure il miele, anzi i mieli, regalano un bel colpo d'occhio cromatico che va dal giallo pallido al dorato intenso, al ramato intenso. In secondo luogo le ricette sono state quasi monopolizzate dall'acacia e dal castagno. Nella sezione Cucina, a parte un millefiori e un miele di rododendro, non si è andato oltre questo binomio, come se fosse impensabile l'impiego di altri mieli.

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Non solo d'acaia e di castagno

L'Italia vanta oltre 50 diverse varietà spalmate in tutte le regioni. E nelle ragioni della scelta del premio, esposte nel regolamento, era scritto: “lo scopo del concorso è quello di promuovere l'antica tradizione dell'uso del miele in cucina, sollecitando le future generazioni di cuochi a recuperare per innovare tale significativo patrimonio di 'arte culinaria'”. Scopo e buone intenzioni ai quali il concorso non ha reso giustizia. «Perché hai usato l'acacia?» ha azzardato qualche giurato al giovane concorrente di turno. «Perché il castagno sarebbe stato troppo intenso» era la risposta. «Perché il miele di castagno?». «Quello d'acacia è troppo delicato per questo piatto». Eppure, tanto per rimanere nei territori degli istituti alberghieri presenti al concorso, si potevano usare mieli di calluna, lampone, lavanda, tarassaco, tiglio, melata di abete o di metcalfa, tipici del Piemonte. Oppure di corbezzolo, di marruca o “di spiaggia” (a base di elicriso), caratteristici della Toscana. O ancora di girasole, di lupinella, di stachys o di stregonia, tanto per citarne alcuni abruzzesi.

 

Ha fatto una figura sorprendentemente migliore la sezione Bar con dei cocktail che hanno saputo osare e andare oltre il duetto acacia-castagno, facendo cadere la scelta sul miele di sulla, di tiglio e millefiori di bosco. Dicevamo che la colpa non è dell'associazione Città del Miele né tantomeno degli allievi. Semmai - come ha avuto modo di sottolineare con parole dure (ma giuste) il presidente della giuria tecnica lo chef Valerio Angelino Catella nel corso della cerimonia di premiazione, facendo riferimento alla stesura delle ricette e dei dossier di accompagnamento - la responsabilità è del corpo insegnante che dovrebbe guidare e indirizzare i ragazzi nelle scelte. Se non loro, chi?

 

Quel che sorprende di più, e lascia - è il caso di dire - l'amaro in bocca, è l'uso marginale del miele nei piatti proposti in concorso (alcuni, ci teniamo a dirlo, di tutto rispetto). Tanto più che il miele almeno da una decina d'anni l'alta ristorazione lo usa per laccare le carni, marinare il pesce, scaloppare il fegato grasso, caramellare e candire frutta e ortaggi, addirittura per lessare le verdure e “salare” l'acqua della pasta. Perché esalta i sapori, arrotonda il gusto, sottolinea i contrasti, modifica le consistenze, estrae i liquidi, veicola gli aromi. Alcuni nomi di chef eccellenti che fanno una cucina di ricerca a base di miele e hanno ideato ricette esclusive e ardite: Massimiliano Alajmo, Igles Corelli, Heinz Beck, Gaetano Trovato, Valeria Piccini, Fabio Picchi, Sergio Mei, Alfonso Jaccarino, Davide Oldani, Giancarlo Perbellini, Adriano Baldassarre, Massimo Bottura, Enrico Bartolini, Paolo Teverini, Roberto Petza, Corrado Assenza, Ettore Bocchia, Ciccio Sultano, Carmelo Chiaramonte, Pino Cuttaia, Accursio Craparo, Giovanni Alfa, Pinuccio Alia...

 

Da una parte c'è l'haute cuisine che ha creato l'onda e la precede, dall'altro una fetta del mondo della gastronomia (e del miele) che non riesce neanche a salire sull'onda e lasciarsi trasportare. C'è ancora molto da lavorare per accorciare la distanza e non continuare a perdere occasioni.

 

 

Mara Nocilla
18/11/2011

 

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