Figli dei fiori

17 Nov 2011, 16:58 | a cura di

Lo sapevate che il miele oltre ad essere il dolcificante, già pronto in natura così come viene regalato dalle api, è anche un concentrato di tante altre cose? E che l'Italia storicamente primeggia in questo settore?

 

Qui sono sono nati il nomadismo, l'arnia verticale e l'apicoltura moderna. Qui, unico pae

se al mondo, si producono circa 50 tipologie tra millefiori, monoflora e melate, grazie alla grande varietà ambientale e climatica. È di origine italiana l'ape universalmente impiegata dalle aziende di tutto il mondo. Alla scoperta del dolcificante più antico della storia, tra virtù e surrogati, frodi e normative, certificazioni e strategie di tutela.

 

L'alimento

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“Uva” dice Pietro Germi nel film Il Ferroviere alzando un bicchiere di vino. Una parola che nella forza della sintesi dice tutto: vero, buono, genuino. Del miele cosa si dovrebbe dire? Nettare di fiori? Con la differenza che l'uomo il vino lo fa, nell'altro caso raccoglie la fatica fatta da altri: la trasformazione operata dalle api della sostanza zuccherina, prodotta dai fiori per attirare gli insetti, nel dolcificante più antico della storia. Senza che l'uomo ci metta la sua zampa più di tanto, tutt'al più lo filtra per togliere i residui di cera. Il miele è essenzialmente una miscela di zuccheri semplici, glucosio e soprattutto fruttosio, ossia zuccheri già scomposti che non hanno bisogno, come il saccarosio, il convenzionale zucchero da cucina, di essere metabolizzati dall'organismo.

 

Questo vuol dire apporto calorico importante, immediato e, grazie al fruttosio che deve prima subire una piccola trasformazione, a disposizione più a lungo. Una bella sferzata di energia senza pagarla in termini di leggerezza.

 

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Non è tutto. «ll miele è un alimento molto più complesso – fa osservare Raffaele Cirone, presidente della Fai, Federazione Apicoltori Italiani –. Sa quanti componenti ci sono tra vitamine, enzimi, acidi organici e sali minerali? Oltre cento. E la ricerca non è finita». Il miele aiuta a disintossicare il fegato, ha proprietà antibatteriche e antisettiche dovute soprattutto all'inibina e al glucoso-ossidasi, un enzima – spiega Carlo Olivero, tecnico di Aspromiele, Associazione Produttori Miele Piemonte – «che nel momento in cui il miele, non pastorizzato, viene diluito con acqua reagisce con il glucosio producendo acqua ossigenata». Inoltre, l'alta percentuale di zuccheri presenti crea una pressione osmotica che disidrata qualsiasi organismo contenuto. Quindi è un alimento asettico. E qualcuno giura che le proprietà terapeutiche delle piante di origine vengono trasferite al miele moltiplicandone le virtù. 

 

Figlio dei fiori

Il miele è figlio dell'ape o della pianta? È un prodotto animale o vegetale? Considerando che esistono decine di varietà di miele e che l’ape è per lo più di un solo tipo, la ligustica, se ne deduce che il miele è un alimento vegetale. È alle diverse essenze floreali e arboree che si deve tutta questa colorata, profumata e saporita diversità. Quindi parliamo di mieli e non di miele.

 

Le api sono “solo” uno strumento, ma di fondamentale importanza: bottinano il nettare e la linfa delle piante e lo trasformano, attraverso un complesso lavoro di squadra in una soluzione zuccherina che viene stivata nelle cellette dei favi; quando il miele è maturo, con un'umidità al di sotto del 20%, le cellette vengono chiuse con un tappo di cera.

 

A questo punto interviene l'uomo, che toglie il pane di bocca alle api, tira fuori i telaini con le cellette, le disopercola ed estrae il miele per centrifuga a freddo, e costringe le stakanov dell'arnia a fare gli straordinari. Perché il miele è un investimento importante della banca alimentare e calorica delle api: è la fonte primaria di energia, il carburante, i nostri carboidrati.

 

Il polline le proteine, il corrispettivo di bistecche e legumi, la propoli l'antibiotico e il disinfettante, la pappa reale il latte delle api e il nutrimento dell'ape regina. Ma l'ape, oltre a regalarci il miele, ha altri meriti. È un indicatore ambientale ed è fondamentale per l’impollinazione delle piante. «Un cupido naturale, un messaggero d’amore inconsapevole – spiega con note romantiche Francesco Panella, presidente dell'UnApi, Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani – porta il polline fecondante da un fiore all'altro». “Affascinante paradosso” definisce l’apicoltura Giancarlo Naldi, presidente dell’Osservatorio Nazionale Miele, «l’unica attività agricola che si può fare senza terra, grazie alla gentile ospitalità degli agricoltori che sono disposti a pagare il servizio impollinazione. Risultato: salvaguardia di un’attività antichissima, della biodiversità e del territorio». È di Albert Einstein, non uno qualsiasi, la massima “se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita”.

 

Un po' di storia

L’ape preesiste all’uomo, l’uomo le ruba il miele dalla notte dei tempi. Le prime manifestazioni artistiche, nelle grotte di Altamira, la Cappella Sistina dell'antichità, fotografano la scena del delitto: un uomo – o una donna? – mentre raccolgono il miele da una liana. Correva il XII millennio a.C. Eppure, l’apicoltura razionale è relativamente recente. «È nata 150 anni fa – dice Fausto Ridolfi, storico del settore, da quasi 40 anni allevatore di “regine” in una zona protetta sopra Bologna – . Grazie anche e soprattutto al nostro paese. La ligustica, la razza oggi usata dalla stragrande maggioranza delle aziende apistiche mondiali perché docile, produttiva e adattabile a qualsiasi latitudine, è di origine italiana».

 

Ma se la ligustica è ormai patrimonio dell’umanità, l’Italia ha ancora un primato assoluto: uno straordinario numero di tipologie di miele, dai 30 ai 50 tra millefiori, uniflorali e melate, e storicamente una tecnica all’avanguardia.

 

«Le numerose monoessenze indicano non solo la grande varietà ambientale e climatica del nostro paese – dice Francesco Panella – ma anche la capacità dell'apicoltore italiano di raccogliere il prodotto. Qui sono nati il nomadismo, la raccolta differenziata, l'alveare a sviluppo verticale, con la zona nido separata dal melario, situato nella parte superiore, che facilita l’operazione di recupero e garantisce un magazzino pulito. All’estero invece l’arnia è un ambiente unico: è impossibile con questo strumento fare un miele di qualità».

 

Se da una parte siamo baciati dalla fortuna, è pure vero che dall’altra abbiamo saputo riconoscere questa fortuna e valorizzarla. «Nel miele è successo quello che è avvenuto con il vino – osserva Carlo Olivero –. I nostri apicoltori hanno preso consapevolezza di cosa voleva dire lavorare bene e nel giro di pochi anni hanno portato l'Italia a fare un salto qualitativo e a primeggiare nella produzione di mieli monoflora».

 

Eppure il bel paese è solo il quarto produttore in Europa con una produzione media annua di 11mila tonnellate, la metà del fabbisogno interno, che oltretutto è bassissimo rispetto agli altri paesi europei: circa 500 grammi pro capite l’anno, «l’altra metà la importiamo – commenta Panella – soprattutto da Argentina, Messico, Ungheria e Cina». Ma i dati ufficiali di produzione e consumo sono errati per difetto: una larga fetta sfugge al controllo perché il miele è spesso venduto direttamente dal produttore al consumatore e esistono molti apicoltori amatoriali. 

 

Frodi, adulterazioni e cattive pratiche

Se il vino, nonostante il ricorso a moderne tecniche di cantina, è ancora fatto d'uva, del miele non sempre si può dire che sia figlio dei fiori. Frodi, contraffazioni e cattive pratiche non si contano. «L’adulterazione classica – spiega Panella – è il miele fatto con una miscela di zuccheri estratti da barbabietola, canna e mais, una pratica consentita in alcuni paesi esteri. In Europa invece non può essere addizionato di nulla, altrimenti non è più lui».

 

A leggere la normative si ha la sensazione che nella vecchia Europa non siamo messi poi tanto male, a partire dal Codex Alimentarius FAO/OMS del 1969, la cui definizione di miele è stata ripresa dalla legge italiana 753/1982 e dalle successive modifiche delle norme nazionali e comunitarie in materia, dove sono indicati paletti precisi e rigorosi sulle condizioni di produzione e commercializzazione. Non è tutto. Nella legge nazionale 313/2004 “Disciplina dell'apicoltura” non solo viene definito cos'è il miele ma anche cos'è un apicoltore, e l'apicoltura viene riconosciuta come “attività d'interesse nazionale” utile per la conservazione dell'ambiente.

 

Una legge bipartisan che va ben oltre al discorso tecnico e dimostra un approccio integrato della questione. «Il secondo problema, grosso, esplosivo – prosegue Panella – è quello delle tecniche di allevamento delle api. In alcuni paesi – tanto per non fare nomi, Usa e Cina – è consentito l'uso di sostanze tossiche, in particolare di antibiotici, vietati in Europa. Terzo problema: la pastorizzazione. La temperatura superiore ai 60 gradi mantiene il miele liquido, stabile e sempre uguale a se stesso, come l'industria vuole, ma uccide i lieviti e gli enzimi, la parte viva».

 

Poi c’è la microfiltrazione, che toglie al miele i pollini contenuti, fondamentali per la tracciabilità del prodotto: è come cancellargli la carta d’identità. C’è l’uso di spacciare un miele per un altro: per italiano un prodotto estero di qualità scadente acquistato dagli importatori a prezzi stracciati, oppure per monoflora delle miscele di mieli non identificati. E c'è il miele cosiddetto “apolide”, dove non è necessario spacciare un bellissimo nulla: la direttiva comunitaria n. 110/2001 in materia concede deroga al miele confezionato ottenuto da prodotti provenienti da diversi Paesi di non menzionare in etichetta la provenienza.

 

Il miele oggi

Eppure, la produzione italiana del settore oggi sta vivendo un momento favorevole. Sicuramente in seguito a quella che Raffaele Cirone chiama “la Chernobyl del miele” – la presenza sul mercato, nell'agosto 2005, di miele cinese con residui di antibiotici con conseguente blocco delle importazioni – che portò a rivalutare il prodotto interno. Un po' come è successo nel mondo enologico dopo lo scandalo del vino al metanolo del 1986. Ma anche grazie una presa di coscienza di questo alimento sano e versatile.

 

Negli ultimi 25 anni le associazioni apistiche hanno collaborato per superare divisioni e competizioni. Corsi di degustazione e laboratori vengono organizzati dai vari enti di settore, «magari in maniera un po' disorganizzata sul piano di date e luoghi, ma ben strutturati sul programma e sulla formazione: in Italia siamo all’avanguardia anche su questo fronte», assicura Lucia Piana, discendente degli storici apicoltori di Castel San Pietro Terme (BO) ed esperta di analisi sensoriale. A Ghemme (NO), paese del vino e del miele, si sta lavorando su un protocollo d’intesa tra viticoltori e apicoltori per trovare una soluzione integrata nella lotta contro la flavescenza dorata, una malattia della vite che viene normalmente trattata con fitofarmaci, e per concordare insieme delle linee guida per la salvaguardia e lo sviluppo ecocompatibile delle due attività.

 

I concorsi di categoria – a partire da quello più importante di Castel San Pietro Terme (BO), che assegna ogni anno le “gocce” ai migliori mieli nazionali, e ospita una Borsa e un Osservatorio dedicati, fino al concorso Roberto Franci di Montalcino (SI), dove a settembre si svolgono gli “stati generali” del comparto e che richiama le produzioni toscane e dell’Italia centrale – rappresentano una vetrina di eccellenze e insieme una palestra per i produttori. Nel 2002 è nata l’associazione “Città del miele”, alla quale aderiscono i centri nazionali più vocati all'apicoltura, nell'ottobre 2005 la "Strada del Miele del Roero", in Piemonte, per ora l’unica in Italia dedicata al dolce prodotto delle api. Da alcuni anni a maggio si tiene a Sommariva Bosco “Amél’amel” (amare il miele), rassegna internazionale dei mieli di nicchia di tutta Europa, mentre già da diverse edizioni Terra Madre, all'interno del Salone del Gusto di Torino, ospita l'Honey Bar con mieli di piccoli artigiani provenienti da tutto il mondo. E la riprova che il miele tira è l'intera sezione che Identità Golose 2011 ha dedicato al dorato prodotti delle api e ai derivati dell'alveare impiegati in cucina, in pasticceria, in gelateria e addirittura nella panificazione.

 

Certificazioni

Anche sul fronte delle certificazione si registra un certo fermento. Dal ’99 c'è il marchio europeo per il “miele biologico”, al 2001 risale il marchio collettivo “miele italiano” concesso dalla Fai per il prodotto di esclusiva origine nazionale. E se all'indicazione "miele vergine integrale", nata per distinguere il miele di qualità superiore, in vigore tra il 1982 e il 1998, non è stata concessa dall’Unione Europea la STG, Specialità Tradizionale Garantita – «una battaglia che abbiamo perduto» è il commento di Francesco Panella dell'UnApi, «per come è fatta la norma europea c’era il rischio che chiunque avrebbe potuto fregiarsene e avremmo aperto ulteriormente le porte alle importazioni» controbatte Raffaele Cirone della Fai – c’è un grande cantiere aperto per quanto riguarda le altre certificazioni. Con una certezza: i mieli Dop della Lunigiana (per l’acacia e il castagno) e delle Dolomiti Bellunesi (per millefiori, acacia, tiglio, castagno, rododendro e tarassaco), gli unici riconoscimenti comunitari di tipicità in Italia.


Arnie e padelle

Il miele non è solo un dolcificante alternativo allo zucchero. È molto di più. È ideale per laccare le carni, marinare le crudité di pesce, scaloppare il fegato grasso, caramellare e candire frutta e ortaggi. Addirittura per lessare le verdure e “salare” l'acqua della pasta. Perché esalta i sapori, arrotonda il gusto, sottolinea i contrasti, modifica le consistenze, estrae i liquidi, veicola gli aromi. Basta mettere il naso nelle cucine di grandi chef e archimedi italiani del gusto. Carlo Olivero, tecnico di Aspromiele, specializzato in analisi sensoriale di questo alimento, dalla pagine della rivista di apicoltura Lapis suggerisce ricette, usi e abbinamenti: il miele giusto con i formaggi («per smussarne o ampliarne il gusto, e arrotondare la bocca»), con la frutta («non la cuoce, come il limone»), addirittura con il caffè («quello di rododendro, di sulla o di rosmarino») o sopra la semplice fetta di pane («da piemontese dico di tarassaco, ma anche di montagna e di macchia mediterranea e, in presenza del burro, di castagno o melata»). Ma l'accostamento sorprendente è con la carne e il pesce crudo. «Il miele – spiega Carlo Olivero – ha un pH appena inferiore a quello del limone e superiore a quello dell'aceto, quindi è adatto a una cottura leggera. Con la differenza, rispetto al limone, che non altera il sapore dell'ingrediente messo a marinare. Quindi, è perfetto con il sushi o gli affumicati di pesce, ma anche con le carni e i salumi: per esempio, lardo di Arnad e miele di castagno o di tiglio». Igles Corelli (fresco di Stella Michelin ad appena 9 mesi dall'apertura del suo nuovo ristorante Atman a Pescia, Pistoia), preferisce il miele al vino, all'aceto e al limone nella marinatura delle carni perché così «risultano più morbide». Anche Heinz Beck della Pergola di Roma, oltre che nelle marinate, lo utilizza nelle salse e nelle glassature «per la sua dolcezza più piena e rotonda». Gaetano Trovato dell'Arnolfo di Colle di Val d'Elsa ci fa il pane salato con grasso d'oca «per esaltare il gusto del grasso» e lo accosta al fior di sale «per metterne in evidenza la dolcezza». Sergio Mei del ristorante Il Teatro de l'Hotel Four Seasons a Milano accosta miele e verdure non solo per le canditure (i pomodori da accompagnare a capesante, scampi o foie gras) ma anche «per estrarre i liquidi, che vengono poi restituiti al piatto emulsionandoli con l'olio, limone erbe e spezie». Nelle cucine di Alfonso Jaccarino a Sant'Agata sui Due Golfi (NA) il miele, proveniente dalla sua azienda agricola Le Peracciole di Punta Campanella, è usato un po' ovunque, compresa la salsa per la frittura di astice e per la pasta frolla, «perché dà friabilità». Enrico Bartolini utilizza il miele, della propria azienda agricola attaccata al ristorante Le Robinie a Montescano, perché dà una «croccantezza leggera, delicata e di grande personalità» e perché nel gioco del dolce-salato «è un protagonista ruffiano, goloso, tecnicamente perfetto». Secondo Paolo Teverini nel suo hotel-ristorante-beauty farm a Bagno di Romagna, dove sul banco della prima colazione tutte le mattine cola miele fresco da alcune arnie, «oltre a dolcificare dà gusto, è più elastico dello zucchero e poi le salse risultano più legate, eleganti e morbide». Lo chef sardo Roberto Petza (che ha legato il suo nome al S'Apposentu di Cagliari) lo utilizza nelle vinaigrette, nel pane, per laccare la carne, per scaloppare il tonno, nel gelato allo zafferano e nella pompia (agrume selvatico candito nel miele) perché «è più naturale e più nostro». Ciccio Sultano del Duomo di Ragusa Ibla, per cultura siciliana e formazione di pasticceria, utilizza il miele per estrarre gli oli essenziali dalle rose e dal gelsomino, candire la pera spinella e la meletta dell’Etna, glassare il maialino nero dei Nebrodi, condire il pesce, nella “stimpirata” e nella caponata verde, per preparare la bottarga!, siringando dentro le uova di tonno, di ricciola o di cernia un’infusione di sale, zucchero di canna, erbe di campo e miele di zagara d'arancio. Ed Eugenio Pol, in arte Vulaiga, fornaio di Fobello, nell'estremo nord d'Italia, usa il polline come agente lievitante della pasta madre impiegata per il suo memorabile pane. 

 

Corrado Assenza e Mielarò

Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto ha elaborato una sua personale filosofia sul miele, che usa nella pasticceria tradizionale siciliana come nei piatti salati: in una edizione di Identità Golose di Milano ci ha addirittura “salato” l'acqua della pasta! «La sua forza sta nel fatto che è uno zucchero semplice, naturale e irripetibile – spiega Corrado Assenza – e soprattutto nella sua capacità di estrarre e di trasmettere gli aromi in modo morbido e rispettoso della materia prima. Nelle marinature e nelle canditure la leggera acidità e soprattutto la concentrazione degli zuccheri estrae i liquidi e modifica la consistenza dell’ingrediente: il gambero crudo diventa croccante, così il baccalà, il tonno». E per creare una sinergia di sapori e seguire una coerenza concettuale, l’essenza del miele viene scelta in base agli aromi che si vogliono condurre, come nei Mielarò, la linea di mieli aromatizzati creati da Assenza alcuni anni fa (usati da chef stellati) e proposti in tre famiglie, erbe, spezie e frutti, da scegliere in base al profilo aromatico della materia prima: il cappero selvaggio della collina iblea candito nel miele di timo, il pomodoro ciliegino di Pachino in quello di fiori d'arancio, e su un piatto a base di frutta miele di nespolo, di acacia, di melo o di agrumi. Un lavoro di ricerca – dichiara Corrado Assenza – «per liberare dalla chimica l’artigiano, per sdoganare la pasticceria e la gelateria dai prodotti industriali. Gli spagnoli usano i microingredienti e vanno verso l'industrializzazione della cucina. Noi dalla parte opposta, per rendere la cucina sempre più tradizionale».

 

 

Mara Nocilla
18/11/2011

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