Il ritorno di Nigella

23 Gen 2012, 10:23 | a cura di

A dieci anni di distanza dal primo incontro negli studi del Gambero Rosso Channel, Nigella Lawson torna in Italia, carica di entusiasmo, di progetti e con un nuovo programma televisivo che va in onda su Sky 411 dal 12 gennaio. L’abbiamo incontrata a Milano, ricordando quella prima volta e ripercorrendo i successi della cuoca pi&ugr

ave; glamour del mondo.

 

Una mattina, più di dieci anni fa, Nigella Lawson entrò negli studi tv del Gambero Rosso Channel e i presenti restarono muti e fermi per qualche istante: ed io fra loro. Nel corso della giornata ci apparvero più chiari i motivi del suo successo: bella, colta, deliziosamente cortese, golosa e cuciniera. Un vero animale da tv, per dirla in slang. Il nostro canale aveva appena programmato Nigella Bites: la sua prima serie tv era stata un successo notevole, anche gli italiani avevano apprezzato sensualità e talento di questa inglese così mediterranea. Incontriamo di nuovo Nigella a Milano: lei  presenta il suo ultimo libro “Nigella Express” (edizioni Luxurybooks). Lei è diventata ormai una vera e propria azienda editoriale multimediale worldwide: fattura milioni di sterline e realizza libri e programmi tv a rotazione. La sua nuova serie tv, Nigella Kitchen, inedita in Italia, andrà in onda in esclusiva su Gambero Rosso Channel dal 12 gennaio, tutti i giovedì alle 21.30. Anche ora proviamo lo stesso brivido di dieci anni fa: una breve attesa e poi, quando appare nella hall con le scarpe basse, sorridente e serena, anche il personale del Four Seasons’s resta muto e fermo per qualche istante.  

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Ciao, Nigella. Ricordi quella prima volta ?

«Certo che mi ricordo, posso dire che la mia carriera è iniziata in Italia, mi ha portato tanta fortuna». 

 

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Cosa troviamo dentro il nuovo libro?

«Ci sono ricette per tutti i giorni, anche perché nella vita non c’è molto tempo. Si deve lavorare, badare alla famiglia e tutto il resto. Per me è importante mangiare bene, anche quando ho i minuti contati».

 

Uno dei segreti del tuo successo è nelle ricette che scegli: sono tutte golose, facili da fare e richiedono pochi ingredienti...

«Questo è molto importante, perché delle volte fare la spesa e dover sempre uscire per comprare qualcosa è piuttosto stressante. Ovviamente, per gli ingredienti freschi bisogna andare a fare la spesa, ma io penso sempre a materie prime che abbiano un buon sapore. E questa è una lezione che ho imparato in Italia: qui da voi il cibo è semplice, genuino e saporito. Credo che uno dei motivi per cui il cibo italiano sia così apprezzato in tutto il mondo dipenda dal fatto che può far capire alla gente quanta differenza faccia rispettare gli ingredienti. E poi non c’è nemmeno bisogno di tanto tempo per cucinarlo, si deve solo pensare un po’ di più e, se si è fortunati, avere a disposizione buone materie prime».


Qual è il ricordo più significativo nel rapporto col cibo italiano?

«La prima volta che sono venuta qui avevo 19 anni: ero cresciuta pensando che la cucina francese fosse la migliore, perché era quella che dominava in Inghilterra quando ero bambina. Mi sono sentita quasi liberata, i sapori erano straordinari, tutto era senza pretese.

Ho lavorato come cameriera in una pensione familiare, dove la cuoca cucinava mentre la nonna le teneva compagnia. Era fantastico il modo in cui preparava il roast beef in pentola e non nel forno, come facciamo noi. Ci metteva solo un po’ di rosmarino e del vino rosso, la sua cucina era così semplice, come quella di mia madre...allora mi imposi una regola: dovevo venire in Italia ogni anno».

 

E così è andata?

«Si. Quando tornavo ero sempre molto imbarazzata, perché nella macchina fotografica c’erano pochissimi scatti con i miei figli: le foto erano tutte di quei pomodori che avevo visto a Siena, delle pesche trovate vicino Roma, ecc. Poi ho conosciuto una scrittrice italiana di libri di cucina che vive a Londra, Anna del Conte, che è stata la mia fonte d’ispirazione, insieme a mia madre. Anna ha avuto una grande influenza sulla mia vita, mi ha insegnato a cucinare nel suo modo molto tradizionalista. Gli italiani sono molto attaccati alle tradizioni, quindi ho sempre avuto timore nel modificare le ricette, ma è inevitabile, secondo me, che succeda di cambiare qualcosa: non si possono separare cucina e cultura».

 

Una volta hai detto che la differenza fra te e uno chef è che lui ha i vincoli del dovere, mentre tu sei libera di cucinare quello che vuoi…

«Sono due le differenze tra uno chef e un semplice cuoco, secondo me. Lo chef è strettamente legato a una determinata formula, visto che cucina per vivere e i clienti potrebbero tornare e volere lo stesso piatto, mentre io posso cucinare quello che voglio, perché le persone non mi pagano. Se voglio cucinare un pollo al rosmarino, ma non ho il rosmarino e al suo posto uso il timo, va bene comunque, nessuno mi direbbe che sul menu c’è scritta un’altra cosa, perché non devo rispettare un menu. L’altra differenza è che gli chef sono persone molto teatrali, amano i conflitti, il dramma e l’agitazione, mentre i cuochi casalinghi cercano l’armonia e la tranquillità».

 

Stai pensando a Ramsey?

«Non esattamente, ma comunque per fare lo chef devi essere un duro, perché la cucina di un ristorante è come un esercito, somiglia a una catena di comando».

 

È un lavoro da uomo…

«Beh, ci sono molte chef donne fantastiche, ma è molto difficile, perché devi accettare il fatto di non avere una vita normale per via degli orari. Se hai dei figli, lavorare di notte non aiuta affatto».

 

Tempo fa hai chiarito che non usi copioni per fare i tuoi programmi tv…

«No, non uso dei copioni».

 

Come li prepari allora?

«Per quanto riguarda le ricette, prima scrivo i libri e poi, quando faccio i programmi, rifletto su mille altre variabili. In una puntata ho bisogno di almeno tre ricette abbastanza semplici per far dire ai telespettatori “Oh sì, posso farla anch'io” e non “Ho bisogno di vederla scritta”. Ad esempio c’è una ricetta con i funghi ai quali aggiungo solo timo, olio d’oliva, scorza di limone e aglio. Una volta pronto l’intingolo, si mette tutto sulla pasta, quindi non serve dare la ricetta, basta solo guardare. Io voglio ispirare la gente, secondo me è questo il bello. Amo il cibo che preparo e voglio dire ai telespettatori: provateci». In televisione poi serve un determinato ritmo, ma, quando giro il mio programma, dico al cameraman: “Guarda, starò qui e poi mi sposterò di qua” e funziona. Credo sia meglio fare tutto onestamente: ben vengano le esitazioni, piuttosto che seguire un copione.

 

Su Wikipedia inglese ho letto che definiscono flirtante (flirtatious) il tuo modo di proporti al pubblico…

«No, non credo di flirtare con i telespettatori! Ho un rapporto amichevole con loro, per me è importante parlare di cibo alla gente con una certa intimità».

 

Gambero Rosso Channel ospita da sempre i programmi tv di Jamie Oliver e Anthony Bourdain, cosa pensi di loro?

«Penso che siano entrambi fantastici. Anthony Bourdain l’ho incontrato un paio di volte a cena a Londra e penso che sia sempre interessante quando le persone si creano un percorso tutto loro. Con Kitchen Confidential ha avuto il coraggio di cambiare tutto, ha capito che quello era il tipo di programma sul cibo che voleva fare, ci tiene molto, lui è sempre se stesso. Jamie è incredibile, la sua cucina è ottima e lui è pieno di energia, è una persona che lavora molto duramente».

 

Ti capita di avere in mente qualcuno mentre cucini? Di solito chi parla a un pubblico televisivo si aiuta immaginando che qualcuno in particolare lo stia ascoltando…

«Penso spesso a mia sorella Thomasina, era più piccola di me di 16 mesi ed è morta a 31 anni; e a mia madre, scomparsa anche lei molto giovane: parlo di cibo proprio come facevo con loro quando cucinavamo insieme. Per qualche strano motivo, quando ho iniziato pensavo a mia sorella, non immaginavo esattamente di parlare con lei, ma sentivo la necessità di riferirmi a qualcuno con cui mi sentissi a mio agio, che capisse il mio amore per il cibo. Forse proprio perché penso di parlare con lei, riesco ad avere un rapporto confidenziale con il pubblico». 

 

Da cosa capisci che una ricetta può piacere e che può essere inserita nel programma?

«Nonostante io scriva prima i libri e poi giri gli episodi del programma, riesco sempre a indovinare quali saranno i piatti che avranno più successo, perché in pratica sono quelli che piacciono di più alla troupe! Perciò mi concentro su quello: quando il regista dice “stop” e i tecnici iniziano ad assaggiare e commentano “Mmm, come si fa? Voglio provare a rifarlo questo week-end” vuol dire che funziona».

 

 

Stefano Monticelli

Gennaio 2012

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