Via Paolo Sarpi a Milano e il reticolo di vie che la circondano sono la più importante, sorprendente e operosa Chinatown in Italia. Qui negli anni ’20, nel “Borgo degli Ortolani”, in quel che un tempo era un quartiere marginale, s’insediarono le prime comunità di migranti prevenienti da Wenzhou e dalla parte sud-orientale della provincia cinese dello Zhejiang, per aprire i primi laboratori di lavorazione di seta e pellame. A quasi cento anni di distanza tutto è profondamente cambiato: le attività, lo stile e il tenore di vita, la mentalità e le abitudini. Ma soprattutto, si sono accorciate quelle distanze, un tempo davvero immense, che esistevano tra milanesi e cinesi. Con la riqualificazione urbana del quartiere e la pedonalizzazione di via Sarpi iniziata nel 2010, l’area ha mantenuto il suo carattere commerciale ma si è evoluta in un'elegante strada pedonale, ornata di aiuole rigogliose ed alberi. Hanno aperto atelier d’arte contemporanea, studi di design, molti nuovi locali e ristoranti. E il quartiere ha iniziato a essere abitato e frequentato da personalità dello spettacolo, giornalisti e intellettuali.
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Grazie alla crisi dell’ingrosso
È grazie alla crisi degli ultimi dieci anni delle attività cinesi all’ingrosso di bigiotteria, tessile, tecnologia e agli input di Expo Milano 2015 se oggi la Chinatown di Milano può essere considerata a livello nazionale la più importante fucina di nuove idee e laboratorio di sperimentazione nell’ambito della ristorazione. Qui si trova un’originalità e una varietà di offerta gastronomica cinese e orientale che non ha eguali. Questa trasformazione è stata possibile grazie ad alcune particolari condizioni economiche e ambientali. Sicuramente per una capacità d’investimento da parte della comunità cinese (grazie ai capitali accumulati negli anni precedenti), ma anche per l’input delle nuove generazioni che spingono per innovare e sperimentare strade inedite e nuovi concept, accantonando l’idea del classico ristorante cinese o sushi bar, oramai inflazionato. Inoltre, si sono moltiplicati gli studenti che dalla “Greater China” hanno scelto Milano come sede per i propri studi e master universitari e la necessità: la necessità di garantire loro un’offerta che li facesse sentire come a Shanghai o Pechino ha accelerato la crescita gastronomica. La maggior facilità di reperire ingredienti e materie prime asiatiche d’importazione (accanto a quelle prodotte con successo nelle campagne di Monza e dell’hinterland milanese) ha reso possibile la realizzazione di menù con piatti assai più vicini alla tipicità delle diverse tradizioni, rispetto a quelli di un tempo.
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Mercati e ingredienti
La stessa considerazione di cui sopra vale per i mercati e – dicevamo – i prodotti e gli ingredienti a disposizione per cuochi che nella madre patria sono abituati a mercati alimentare e food store impressionanti per la quantità e varietà di ingredienti e materie prime che offrono per le diverse tipologie di cucina. Se la loro reperibilità in Occidente è stata a lungo impresa assai ardua, oggi per fortuna, grazie alla globalizzazione dei mercati, le cose stanno cambiando. Fino al 2000 l’approvvigionamento di prodotti asiatici e cinesi passava quasi esclusivamente attraverso le centrali d’importazione olandesi, inglesi o francesi ed era gestita da colossi come Tang Frères a Parigi che da sola garantiva un flusso di circa 60mila container l’anno. Ora a questi canali si sono affiancate aziende cinesi di Prato o Milano (come Uniontrade) che importano direttamente dalla greater China molti nuovi prodotti, che vengono poi distribuiti capillarmente da piccoli e grandi asian food stores. Anche il problema del “fresco”, dell’orto frutta è stato risolto brillantemente. Nell’anno di Expo, Coldiretti Lombardia ha presentato una ricerca che dimostrava che oggi in Pianura Padana si coltivano oltre 100 prodotti agricoli sub-tropicali ad uso alimentare, molti dei quali sono già entrati nella grande distribuzione e nei mercati all’ingrosso di Milano e Brescia.
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Rivoluzione salata
Ciò che viene testato in zona Sarpi, se funziona, è destinato a diventare un concept innovativo, un nuovo modello di business da esportare su larga scala in altri quartieri e città italiane. E questo è vero soprattutto nel settore della ristorazione. Nel momento in cui la cucina di strada è diventata di moda a Milano, come nelle altre città, anche i cinesi si sono adeguati e pur senza recuperare la denominazione “piccole colazioni” (o xiaochi, o il dai pai dong, termine usato a Hong Kong per descrivere lo street food) hanno cominciato a sfornare ravioli (jiaozi, shuijiao, xialongbao), panini a vapore ripieni (baozi, gua bao), crepes salate (jianbing), spiedini speziati (chuanr), tigelle farcite (roujiamo), financo gli spiedini di biancospino caramellato (tanghulu). A Milano si sperimenta, poi si prova l’espansione a Bologna, a Torino, a Roma, a Firenze. E questo quartiere assume il fascino del luogo di sperimentazione gastronomica d’avanguardia. Nella Chinatown di Zona Sarpi si stanno diffondendo anche nuove gastronomie e piccoli chioschi e ristorantini specializzati in un singolo piatto (o tipologia) così come i ristoranti familiari o aziendali, dove le comunità si ritrovano nei grandi saloni per festeggiare un matrimonio, un compleanno, una nascita o un evento aziendale - anche se in questo caso si prediligono i privé - dal grande tavolo circolare.
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Non solo gastronomie e chioschi, ma anche family restaurants, pasticcerie, bubble tea shops e caffetterie, tutte realtà che vengono raccontate nel numero di novembre del Gambero Rosso.
Insomma, un tour gastronomico nella zona di via Sarpi è decisamente propedeutico a un vero e proprio viaggio in Cina e sicuramente dimostra come – quando integrazione e rispetto vengono intelligentemente praticati – l’immigrazione e la vicinanza di culture diverse possa di gran lunga arricchire i rapporti umani e quelli economici e sociali di un paese. Offrendo una incredibile varietà di eccellenti tavole dove sedersi, scoprire, imparare.
a cura di Vittorio Castellani (Chef Kumalé)
foto di Irene Fanizza
QUESTO È NULLA...
Nel numero di novembre del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate l'indagine completa con il racconto dei family restaurants, delle pasticcerie cinesi contemporanee, dello strano fenomeno dei bubble tea shops e delle caffetterie orientali. Un servizio di 10 pagine che include anche un focus sull'integrazione a firma di Emilia Antonia De Vivo, i 10 luoghi e le specialità da non perdere, 3 trattorie di street food autentico, un'interessante infografica di Alessandro Naldi che mostra come è cambiato il quartiere in novant'anni e i protagonisti della nuova Chinatown.
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