Fermiamoci tutti. Da Torino l’appello di Christian Mandura, chef di Unforgettable

10 Mar 2020, 15:28 | a cura di
Christian Mandura è il giovane chef alla guida di un ristorante che ha fatto dell’esperienza al bancone il fulcro di un pasto conviviale. Tra i primi, qualche giorno fa, ha scelto di chiudere, finché l’emergenza Coronavirus non rientrerà. Ci racconta perché.

I ristoranti che vogliono fermarsi

Con il nuovo decreto d’emergenza appena entrato in vigore, le restrizioni inizialmente applicate alla cosiddetta zona di contenimento lombarda (più 11 province tra Emilia Romagna, Veneto e Piemonte) sono attive su tutto il territorio nazionale. Dunque ha prevalso l’idea di chi chiedeva un’estensione quanto più ampia possibile della zona rossa (tra gli altri, un gruppo di ristoratori toscani intenzionati a tutelare sé stessi e gli altri, ottenendo però anche le necessarie tutele economiche per far fronte alla chiusura prolungata dell’attività), senza distinzioni di sorta. Anche se, al momento, le misure imposte abbozzano un invito alla quarantena, senza però stroncare ogni afflato di socialità. E quindi, per esempio, si concede a bar e ristoranti di stare aperti dalle 6 alle 18. Anche per fornire quel servizio di food delivery che, nelle prossime settimane, è destinato a diventare il core business delle attività che sceglieranno di restare aperte, nel rispetto rigoroso delle precauzioni imposte. Sempre più numerosi, però, sono gli chef e i ristoratori che decidono di chiudere battenti per un po’ (A Milano, il Comitato dei Ristoratori Responsabili lo chiede a voce congiunta). L’abbiamo visto con Massimo Bottura e Alberto Gipponi; ma la riflessione è comune a molti professionisti del settore che hanno raccolto l’invito a stare a casa; e anzi, con la loro serrata, si fanno ambasciatori dell’istanza, ribadendo l’impossibilità di svolgere con serenità il proprio lavoro in un momento in cui la convivialità (come dovrebbe essere il momento di un pasto al ristorante) è vivamente sconsigliata.

La brigata di Unforgettable a Torino

Le parole di Christian Mandura

Tra i primi a riflettere sulla necessità di fermarsi, a Torino, è stato il giovane chef Christian Mandura, titolare di un’attività non destinata ai grandi numeri, ma comunque votata allo scambio e alla condivisione. Per questo Unforgettable sarà chiuso fin quando non torneranno tempi migliori, e - sebbene, ripetiamolo, molti si stanno allineando su questa scelta difficile, ma doverosa - ci piace condividere la riflessione di Christian, perché possa essere d’esempio e incoraggiamento per altri.

Torino, 8 marzo 2020

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La situazione è diventata parecchio complicata, abbiamo fatto una scelta perché pensiamo davvero che sia importante, oggi, mantenere la calma. Nel nostro piccolo, dobbiamo suggerire di fermarci, per ripartire il prima possibile tutti insieme. Ecco perché abbiamo pubblicamente comunicato la momentanea sospensione dell'attività di Unforgettable. Si tratta di una decisione meditata e sofferta, ma sentiamo di avere una responsabilità verso il nostro pubblico, verso la nostra città e il nostro Paese. Noi la definiamo una scelta responsabile. Noi ci fermiamo, fino a quando l’emergenza sarà rientrata. Questo è il nostro impegno per il periodo che stiamo vivendo e speriamo di poter contribuire, insieme a tutti, a renderlo il più breve possibile. E poi non vogliamo snaturare il nostro format, che è un format di vera condivisione: la gente mangia insieme, parla, ride, instaura rapporti al banco. Il nostro locale nasce con un unico bancone conviviale, dove differenti ospiti si siedono e possono scambiare tra loro opinioni, pareri, confrontandosi anche sui piatti. Poi, finita la cena, molti di loro continuano a chiacchierare nella zona living adiacente a quella adibita alla cena. È quindi impensabile che, per rispettare le normative ministeriali vigenti, la gente si sieda al bancone a un metro di distanza uno dall’altro; significherebbe separare coppie, amici e allontanare le persone tra loro quando per noi è fondamentale unirle.  Noi viviamo dei sorrisi, della felicità, della tranquillità e della gioia delle persone che ci scelgono e ci dedicano il loro tempo.

E la considerazione che più mi ha spinto, di comune accordo con la proprietà, a decidere di chiudere è il fatto che se c’è un’offerta ci sarà una domanda: sta a noi non alimentare la voglia delle persone di uscire di casa a frequentare luoghi affollati. Nel nostro piccolo ci proviamo. Anche se avremmo potuto sopravvivere: abbiamo chiaramente subito un calo dei coperti, ma avevamo prenotazioni con carte di credito a garanzia tutti i giorni; dieci posti non sono tantissimi, qualcuno arriva sempre. Ma per noi, oggi, davvero è più importante il resto.

Oggi noi ci fermiamo. È una scelta responsabile condivisa con la proprietà, e con i nostri dipendenti. Il nostro format concepisce la cucina come momento di unione, confronto, condivisione. Fermarsi oggi non è un fallimento, né equivale a gettare la spugna. Oggi fermarsi è un atto di responsabilità e di civiltà. Oggi più che mai, fermarsi significa andare avanti e stare uniti, condividere e prendersi il tempo per ricominciare. Qualsiasi tipo di valutazione economica ci dice di stare aperti, di non chiudere, ma questo non può prevalere sul nostro senso di responsabilità. Ci fermiamo oggi per tornare domani con lo stesso sorriso di sempre, con la stessa voglia di fare, di far star bene i nostri ospiti e di farli vivere momenti felici di condivisione e di crescita. Non fermarsi oggi sarebbe l’atto meno responsabile che si possa attuare.

Torino, 10 marzo 2020

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Siamo felici che questa scelta sia stata adottata da altri colleghi ristoratori. Inutile nascondersi dietro all'hashtag #iononmifermo, inutile portare la gente fuori, quando la situazione è di emergenza e l'allarme è crescente. Personalmente non ho urlato #iononmifermo, ma nell’ultimo mese ho sostenuto chi l’ha fatto, andando a mangiare nel mio giorno libero nei ristoranti dei colleghi. In questo momento, però, dobbiamo davvero essere uniti, avere la consapevolezza che nessuno di noi è solo, che il comportamento di ognuno di noi ha un valore indefinibile per la vita di altri esseri umani. Che stare a casa sia un esempio, un monito anche per le giovani generazioni che pensano di essere immuni da questo virus. 

E io cosa farò in questo periodo? Prendo del tempo per studiare, per crescere professionalmente, per dedicarmi al nuovo menu con più attenzione, più dedizione, più anima. Nel mese di dicembre siamo partiti col menu invernale con circa 10 giorni di ritardo, perché arrivavamo da 3 mesi di ristorante sempre pieno. Abbiamo lavorato a ritmi molto stretti, ferrei e la nostra concezione di cucina richiede uno studio approfondito, continue ricerche e sperimentazioni. I nostri piatti prevedono una ricerca non indifferente che considera stagionalità, vegetale al centro e piatti esclusivamente della tradizione. Quindi questo periodo ci servirà per riflettere, per pensare ai piatti del menu primaverile, con cui speravamo di esordire il primo giorno di aprile, proprio in corrispondenza del nostro primo compleanno.

Ora non so più quando presenterò il nuovo menu; ma voglio sfruttare questo tempo per dedicarmi anche ai miei affetti, per stare con mia madre che ha sospeso l’attività del ristorante a Chieri. Ci ritroviamo con due realtà chiuse e con circa 15 famiglie che dipendono economicamente da queste realtà. Oggi sono a casa e non mi sono mai sentito così vicino alle persone dalle quali mi viene chiesto di stare lontano. Probabilmente questo silenzio sarà tradotto in grandi piatti, anzi ne sono certo. Ogni ristorante si ripresenterà al suo pubblico con il menu migliore di sempre. E questo periodo di stop obbligato ci cambierà, in meglio.

- Christian Mandura

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