Gola: da una serie tv su Raiplay, il cibo e gli italiani secondo Mattia Torre

10 Gen 2023, 13:02 | a cura di
Un ritratto esilarante ma realistico degli italiani a tavola, tra feste comandate e occasioni conviviali. Lo firma il compianto Mattia Torre e lo impersona Valerio Aprea.

In queste settimane, in streaming su Raiplay, è possibile gustarsi Sei pezzi facili, una serie televisiva composta da sei rappresentazioni teatrali scritte da Mattia Torre, sceneggiatore e commediografo scomparso prematuramente nel luglio 2019, per la regia di Paolo Sorrentino; di questi Gola è uno dei titoli più accattivanti. Il nucleo narrativo prende spunto da tutta la nostra tradizione fondata sulla dialettica della gola opposta alla fame atavica: il protagonista, il bravo Valerio Aprea, associa la guerra alla fame e ne costruisce l’ossimoro: “Mangia che è finita la guerra...” e, poco dianzi, “Mangia che la guerra potrebbe tornare! Devi finire ciò che hai cominciato”.

secondi di Natale

La guerra, i riti e le feste

La guerra, quindi, quale spartiacque e causa delle nostre abitudini specialmente dal dopoguerra a oggi e, nonostante sia terminata da oltre settant’anni, come spinta perché la popolazione italiana continui a mangiare e trionfi “un pacifismo gastronomico a bocca piena” in una sorta di armonia universale. I trentacinque minuti del monologo diventano affabulazione e accumulazione di luoghi comuni che troviamo nella nostra quotidianità. Partiamo dalla feste comandate e dalle ricorrenze, durante le quali il cibo assume una sua liceità, per esempio per la Pasqua dopo i quaranta giorni di Quaresima, durante il Natale o ai funerali dove Torre immagina “le tielle di pasta al forno”, portate dai parenti e amici per la cerimonia funebre la cui mancata restituzione crea rapporti rancorosi tra le persone. Del resto la festa è – per dirla con le parole di Franco Cardini - “un universo articolato e polivalente: vi sono feste religiose ufficiali e religiose popolari; vi sono feste cristiane e quelle feste familiari nelle quali non è il ciclo dell’anno bensì il ciclo vitale a venir festeggiato” ( I giorni del sacro, UTET, pag. 209). Il testo di Mattia Torre coglie nel segno: parte da situazioni specifiche, anche paradossali, per rappresentare la società italiana che se pure è cambiata nel corso degli anni è ancora legata a certe tradizioni, quelle immortalate dal cinema e dal teatro, siano Miseria e Nobiltà, Sua eccellenza si fermò a mangiare, o ancora La grande guerra.

Il monologo si addentra nei particolari, talvolta pantagruelici, rappresentati con abilità da Valerio Aprea con l'intonazione e la gestualità così caratteristiche che strappano un sorriso o una risata aperta, pensando che forse non è la rappresentazione della realtà ma l'esagerazione della comicità. Ma poi leggiamo i dati di questo Natale forniti da Coldiretti e capiamo che la nostra realtà supera la fantasia del monologo.

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La conferma nel carrello e sulla tavola

Infatti, nonostante la crisi e la tensione inflattiva, gli italiani hanno speso 2.7 miliardi di euro per i pranzi delle feste natalizie, e nove su dieci hanno trascorso questi giorni a casa, impegnando per la preparazione dei pasti in media circa tre ore. Il pesce è stato presente in 7 tavole su 10 e le carni ci sono stati bolliti, arrosti, fritti, agnelli, tacchini. Le minestre con la varietà di zuppe, i cappelletti in brodo, ma anche le paste ripiene e le pizze rustiche e i dolci fatti in casa hanno completato i menu di quattro famiglie su dieci che hanno chiuso le celebrazioni natalizie con i tradizionali panettoni e pandori in tutte le varianti immaginabili.

Proprio queste categorie merceologiche, fuori dal freddo dato statistico, le troviamo immediatamente trasposte nel realismo fantastico di Mattia Torre, come nel caso della dissertazione sull’arte del friggere che assurge a pura religiosità, sul ripieno come desiderio di accumulare ingredienti o sul momento topico della carbonara. C'è poi la tirata da grammelot dell'elenco assortito di specialità italiane di cui le nonne sono custodi. La narrazione si fa sempre più veloce saltando dal mandarino di Salerno alle specialità “di su” ovvero del Nord, agli inviti forzati a mangiare sino a strafogare. Non ci si può alzare da tavola lasciando un poco di appetito come vuole la tradizione orientale e secondo Torre pure il cibo esotico “è una botta di goliardia” subito messo da parte a favore di quello italiano. Gli agoni si incentrano sui fiori di zucca dove si è dimenticata l’acciuga, le linguine sciape, il riso scotto e il vino che sa di tappo. “Siamo un Paese che mangia senza se e senza ma” e se non ci fosse stata la guerra il rapporto con il cibo sarebbe stato più equilibrato.

E il nostro pensiero passa al dopo, quando - appena terminata la rappresentazione, ovvero a “Quando se magna, dove se magna”, per un Paese che “ha fatto del cibo la sua luminosa potente bandiera”.

https://www.raiplay.it

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a cura di Marco Leporati

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