Coronavirus. In ginocchio ristorazione e ospitalità: servono provvedimenti

25 Feb 2020, 18:53 | a cura di
Mentre si attende che l'emergenza virus si assesti, si cerca di prevenire un'altra allerta non meno grave: quella economica di un settore - ristorazione, turismo e ospitalità in genere - che rischia grossissimo

“Una tragedia” la definisce da Milano lo chef Alessandro Negrini che sottolinea come il primo giorno di coprifuoco dei locali notturni e dei bar ha coinciso con un tracollo netto in tutti i settori, anche quelli non interessati dall'ordinanza. Perché non conta essere ristoranti o bar, conta che l'atmosfera calata in città è agghiacciante, la gente non ha più voglia di spendere perché non vede chiarezza per il futuro e i turisti (che fino a ieri erano la vera novità del boom milanese) tendono a svanire. E già molti eventi gastronomici son stati annullatii o posticipati di mesi.

Sorride a stento mentre il suo bollettino dal fronte parla di un crollo della clientela: Da Aimo e Nadia, storico ristorante della città dove Negrini è cuoco e conproprietario, lunedì hanno fatto 12 coperti, a fronte dei consueti 47 e stasera i prenotati sono la metà, stesso discorso per il bistrot che ieri ha fatto 2 coperti e per il format Voce di fronte alla Scala – “a pranzo abbiamo fatto 60 coperti che per Voce sono niente, e a cena 4”. Una situazione condivisa da tutti i colleghi che devono fare i conti con una città surreale ridotta a fantasma di se stessa, con clienti in fuga dalle strade e dai luoghi di aggregazione anche dove non sussiste alcun divieto, come nel caso dei ristoranti. “Non so come riusciremo a sopportare due settimane così” continua Negrini.

La prospettiva infatti non sembra delle più rosee e bisogna mettere in conto l'eventualità di una lunga paralisi del settore. Non è soltanto questione di mancato incasso: “il vero problema sono i dipendenti” continua Negrini: “chi è attrezzato per fare tanti coperti si trova da un momento all'altro ad affrontare questo calo” dovendo però garantire un ammontare enorme di buste paga, e il discorso non cambia per i locali di fascia alta, con pochi coperti e tanti dipendenti. Per tutti il momento è critico. “Ci vorrebbe una cassa integrazione turistica per sostenere il comparto!” ci dice lucidamente chef Negrini.

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Chi chiude e chi rimane aperto

Qualcuno ha deciso perfino di chiudere senza averne l'obbligo fino al permanere dell'allerta "in questo momento abbiamo una sola responsabilità: quella di salvaguardare tutti, non solo noi stessi” spiega la pagina Facebook di Trippa, insegna in perenne sold out: come parte “di una società matura e sensibile” scelgono di limitare la socialità per qualche giorno. Col passare delle ore si aggiungono altri locali, anche perché talvolta è più dispendioso alzare le serrande per pochissimi che si avventurano a cena fuori che prendersi un periodo di pausa e mettere a riposo i propri collaboratori magari smaltendo qualche giorno di monte-ferie. Senza contare che è complicato prevedere le presenze reali (dunque organizzare provviste e linea) e i no show, ovvero i clienti che prenotano e poi non si presentano, sono all'ordine del giorno: tutti si sentono ancor più giustificati e legittimati a comportamenti poco seri.

Voi non avete pensato di chiudere, chiediamo al team di Aimo e Nadia? “No, nonostante i 75 dipendenti i tre locali rimangono apertissimi, come segno di responsabilità cittadina”. Qualcuno parla di chiusura responsabile, loro dell'opposto: apertura responsabile. Perché l'impatto economico, sociale, culturale di una città blindata rischia di avere danni irreparabili e dilapidare 10 anni di crescita e di entusiasmo, di smantellare l'idea di una città aperta e cosmopolita che proprio attorno all'offerta gastronomica ha costruito (e ricostruito) la sua scoppiettante identità contemporanea. “Vogliamo offrire il nostro servizio per dare un segnale di normalità e tranquillità alle persone”. Provvedimenti? “Personale ridotto e turnazione”. Insomma, l'apertura come presidio di civiltà e socialità a fronte di una situazione drammatica che interessa tutti, dato che gli stessi clienti sono coinvolti dalla prospettiva di una crisi economica che farebbe contrarre consumi e uscite.

Non sono i soli: anche l'Unione dei Brand della Ristorazione Italiana, neonata associazione temporanea di aziende che riunisce oltre 50 imprenditori e circa 1000 attività della ristorazione (e 10.000 lavoratori sul territorio) sostiene la linea dell'apertura: “Esprimiamo il nostro senso comune decidendo di tenere aperti i nostri locali aderendo all’invito del nostro Sindaco Beppe Sala che richiama Milano al buon senso e invita a scongiurare atteggiamenti che possano generare eccessivo allarme, tra cui l’immagine di una città 'spenta' in tutti i sensi, senza che ve ne sia l’effettiva necessità” dichiarano Antonio Civita (Panino Giusto), Nanni Arbellini (Pizzium) e Vincenzo Ferrieri (CioccolatItaliani) promotori dell’iniziativa, che continuano: “Con i nostri colleghi abbiamo stabilito di devolvere un sostegno economico alle forze volontarie in campo, rappresentate da Associazioni riconosciute, che stiamo definendo in queste ore perché Milano è una città viva... e una città viva è una città che reagisce”.

Il turismo ai tempi del Coronavirus

E poi c'è il turismo –non solo incoming ma anche outgoing, business travel, gite scolastiche, eventi, congressi - che assiste a un crollo delle prenotazioni e un fiorire delle cancellazioni. Annullata la domanda verso la Cina e le altre mete asiatiche c'è, in generale, un forte rallentamento per tutte le destinazioni del mondo, e un raddoppio delle richieste di cancellazione di viaggi. Non solo: sono state adottate misure restrittive nei confronti di viaggiatori italiani e c'è un forte taglio alle prenotazioni verso l'Italia.

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Le associazioni di categoria del comparto turistico (Aidit, Assoviaggi, ASTOI e Fto) “chiedono con forza che il turismo sia tutelato e supportato in questo momento di profonda crisi. È necessario che le istituzioni mettano prontamente in campo misure di sostegno straordinarie per le imprese turistiche, che contribuiscono al PIL per il 13% e, per il 14,7% all’occupazione nazionale”. La richiesta è che si dichiari lo stato di crisi del comparto, adottando misure straordinarie a supporto delle imprese interessate da questa emergenza. Tra le richieste: il differimento dei contributi previdenziali e delle imposte dirette e indirette per il perdurare della crisi e, comunque, non meno di dodici mesi; riduzione dell’aliquota IRPEF; accesso agevolato al credito e sospensione delle rate dei mutui; accesso agevolato agli ammortizzatori sociali esistenti (come cassa integrazione) e a Fondi di sostegno al reddito estendendo tali misure anche alle PMI; istituzione di aiuti speciali per gli organizzatori di viaggi per coprire le perdite relative a viaggi cancellati, per superare le difficoltà nei flussi di cassa e di mantenere l’operatività aziendale.

La Cia-agricoltori Italiani lancia l'allarme: “Già registriamo le prime ricadute economiche” dichiara Giulio Sparascio, presidente di Turismo Verde, l’associazione per la promozione agrituristica di Cia “stiamo ricevendo segnalazioni dai nostri associati di disdette dei turisti stranieri per i mesi di aprile, con le feste pasquali, e maggio”. La prospettiva, neanche troppo distopica, è che i flussi turistici vengano orientati su altri paesi. Dalla Cia si affidano alle istituzioni nazionali e alle misure restrittive attuate, ma con la speranza di un atteggiamento sobrio, “questa situazione non deve essere né sottovalutata, né ingigantita”. Niente allarmismo, insomma. A confortare in questa direzione anche Roberto Burioni – che pure tiene alto il livello di allerta – sul suo Madicalfacts, in cui dice: “Niente panico! Attuate le precauzioni basilari, come lavarsi spesso le mani, ma non cedete all’isteria collettiva da Coronavirus”. Poco più di una settimana e arriveremo al punto di svolta.

Le prime risposte delle Istituzioni

L'impatto economico sul settore dell'ospitalità e la ristorazione però non sarà da poco. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato un sostegno ai soggetti con sede legale od operativa nella cosiddetta zona rossa (a oggi i comuni di Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini in Lombardia e Vò in Veneto), con sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti tributari, delle ritenute sui redditi di lavoro dipendente e su quelli assimilati al lavoro dipendente, sui compensi e altri redditi corrisposti dallo Stato (ma attenzione: gli adempimenti e i versamenti oggetto di sospensione dovranno essere effettuati in unica soluzione entro il mese successivo al termine del periodo di sospensione).

Il Mipaaf, da parte sua, è pronto con un calendario di incontri con organizzazioni di settore, di distribuzione, parti sociali, Regioni. “Discuteremo con le imprese e tutti i soggetti della filiera agroalimentare, distribuzione inclusa, per comprendere la strumentazione migliore da mettere in campo e le priorità da affrontare” annuncia la ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, in una nota ufficiale. Perché oltre alla salute dei cittadini bisogna assicurare la tenuta del nostro sistema economico e produttivo.

Gli Ambasciatori del Gusto

Tra gli interlocutori del Mipaaf, l'Associazione Italiana Ambasciatori del Gusto (AdG), che dà voce agli imprenditori della ristorazione, di ogni tipo e genere riunendo cuochi, pizzaioli, ristoratori, pasticcieri e gelatieri, sommelier e personale di sala. Sono loro a mettere in evidenza come la psicosi del contagio stia colpendo le attività della ristorazione e della somministrazione minacciandone la stessa sopravvivenza: la situazione attuale le vede private di clientela ma non dagli obblighi fiscali. “Siamo esposti ad un rischio senza precedenti. Il nostro appello è quindi per un’azione urgente e quanto mai concreta”. Per questo sottopongono le loro richieste alle istituzioni: “Chiediamo ai Ministri competenti di abolire gli adempimenti tributari nelle regioni colpite da Covid-19, ai Presidenti di Regione e ai Sindaci dei territori coinvolti di concentrare programmi di defiscalizzazione e decontribuzione rivolti alle imprese e ai titolari di partita Iva della filiera; la possibilità di sospensione dall'impiego per i propri dipendenti, per tutto il periodo di interesse, prevedendo l'accesso ai fondi di disoccupazione”. Anche qui una sorta di richiesta di “cassa integrazione di settore”. Con la sensazione che sia l'unica strada, qualora le cose non si aggiusteranno immediatamente, per salvare tante piccole aziende d'eccellenza.

a cura di Antonella De Santis

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