Rapporto Ristorazione 2021. I dati e le riflessioni presentati da Osservatorio Ristorazione

17 Ott 2022, 17:29 | a cura di
Il Rapporto presentato a Padova passa in rassegna l'ultimo anno dei pubblici esercizi italiani, alle prese con chiusure e rincari dell'energia elettrica

Quando, quasi 7 mesi fa, si facevano i conti sull'andamento del comparto delle ristorazione ci eravamo appena affacciati su uno scenario che faceva tremare le vene ai polsi: dopo la pandemia, la guerra che aggiungeva incertezza a incertezza in un settore già duramente colpito dall'emergenza Covid e che cominciava a scontare gli effetti di una crisi internazionale: uno scenario che lasciava presagire un ulteriore ritardo nell'auspicata ripresa. Oggi, alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi, si torna su quell'analisi nel Forum della Ristorazione di Padova, in cui si presenta il Rapporto 2022 dell’Osservatorio Ristorazione, spin-off dell’agenzia RistoratoreTop e organizzatore del Forum, che elabora dati provenienti da istituti di ricerca ISTAT e Censis, associazioni di categoria FIPE e Federalberghi, Wearesocial, le banche dati di Infocamere e la web app Plateform. È questo il punto di partenza per una riflessione sul rilancio del settore che sta pagando care le conseguenze della situazione socioeconomica.

La situazione nel 2021

Il 2021 è stato un anno di record negativi: oltre 23mila aziende hanno cessato la loro attività (45mila se sommati a quelli del 2020), e solo 8.942 sono state le nuove imprese nel 2021, anno che registra il saldo negativo tra iscrizioni e cessazioni più cospicuo degli ultimi dieci anni (-14.188), con il numero più basso di attività iscritte alle Camere di Commercio, che per la prima volta in 10 anni sono meno dell'anno precedente (396.993 imprese rispetto alle 397.700 del 2020, ovvero -707). Cifre che da un lato sono organiche a un mercato per certi versi saturo e instabile, come spiega Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione: “Se da un lato questi numeri sono normali assestamenti di un mercato fin troppo affollato, dall’altro sottolineano la differenza marcata di competenze e liquidità presente tra gli imprenditori del settore”. Un contesto nel quale il dinamismo e la capacità delle aziende di modulare organizzazione e offerta in base alla situazione contingente fanno la differenza : “Nel biennio caratterizzato dalla pandemia” continua Ferrari “sono sopravvissute o hanno addirittura prosperato quelle realtà che hanno saputo riorganizzarsi tempestivamente, rimboccandosi le maniche tra nuovi modelli di business, produzione di sala e cucina ottimizzata e processi di fidelizzazione dei clienti” . A sparire sono stati invece molti dei locali che vivevano di passaggio e di turismo – soprattutto se non supportati dall'attenzione alla qualità del prodotto – e quei locali che non si sono adeguati alle potenzialità offerte dalla digitalizzazione. In ogni caso, però, il bilancio negativo pesa su tutta la filiera (con una perdita nella produzione agroalimentare per un valore di circa 15 miliardi), con una situazione in cui si evidenziano problematiche ormai croniche – per esempio la mancanza di personale - e un cambiamento radicale nelle abitudini di prenotazione, consumo e fruizione anche con l'avanzata dell'online, dalle piattaforme di prenotazione e delivery, ai canali social come strumenti sempre più usati per informarsi.

L'andamento, città dopo città

Tra le grandi città, Roma è quella che ha subìto con maggiore evidenza gli effetti della crisi: nel 2021, 8 attività su 100 hanno chiuso battenti (-2.841, da 34.200 a 31.359); mentre Milano e Torino registrano un -0,6% e -0,4%. Stabile Firenze mentre le grandi città del Meridione consegnano un segno positivo: Napoli al +2,5% (19.765 nuove attività) e ancora meglio Palermo al +3,3% (5.840 nuove attività). Riguardo al solo secondo trimestre 2022, secondo L’Osservatorio realizzato da TheFork in collaborazione con Format Research, aumentano +5% rispetto all’anno precedente le nuove aperture, ma aumentano anche le cessazioni. In Italia le regioni che hanno registrato il maggior numero di imprese nuove nate da ottobre 2021 sono il Lazio (613) la Lombardia (506) e la Campania (394); soprattutto ristoranti di cucina italiana (41%) e asiatica (25%), più della metà (56%) rientra in una fascia di prezzo compresa tra 15 e 30 euro.

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Mancanza di personale

Chiudono i ristoranti, è più difficile reimpiegarsi e trovare lavoro? No, non esattamente: la difficoltà a trovare collaboratori nel mondo dell'ospitalità è sempre più cronica, con la fuga dalla ristorazione avvenuta già nella prima fase della pandemia che oggi si confronta anche con una diminuzione di iscrizioni agli istituti alberghieri che fa dunque prevedere un futuro con meno disponibilità di forza lavoro. Nel 2021-2022 le iscrizioni sono state solo 34.015 (il-47,1% del 2014/2015, l'anno scolastico con il maggior numero di iscritti: 64.296). Anche questo è un calo in parte fisiologico, dopo anni di eccessi, dovuti alla fascinazione per questo mestiere indotta dai programmi tv e da una certa comunicazione patinata degli chef star, ma “The Great Resignation” - come viene definito questo fenomeno - è legato anche alla tendenza da parte di di millennials e Gen Z ad avviare attività in proprio, alla disillusione rispetto a questo settore schiacciato da irregolarità, contratti capestro, lunghe giornate di lavoro a ritmi insostenibili, settore di cui la pandemia a rivelato tuitta la fragilità. Una sfiducia verso il settore che deve essere contrastata non con operazioni di facciata ma, dice Ferrari, “facendo sistema e ripensando il settore per attirare e, soprattutto, trattenere i più giovani, aprendo a figure professionali più consone alle competenze e alle aspirazioni dei nativi digitali e ridisegnando orari e modalità di lavoro. Lo stesso contratto nazionale andrebbe rivisto per stimolare l’appeal del mondo ristorativo”.

Online e offline. Come cambiano le abitudini di ristoratori e clienti

A proposito di nativi digitali, gli ultimi due anni hanno cambiato radicalmente le abitudini di fruizione e consumo, portando in primo piano servizi e strumenti offerti dalla rete: pagamenti cashless, menu digitali, sistemi di prenotazione online (più che raddoppiate rispetto al pre-pandemia: oggi il 39,1% delle prenotazioni avviene via web, a fronte del 49,7% via telefono e l’11,2% di walk in) e di gestione delivery o take away – le vere grandi eredità dell'epoca Covid (un mercato che oggi vale 1,17 miliardi di euro, con 13,21 milioni di utenti nel 2021: +15,3% rispetto al 2020) - self-ordering, app per gestire i turni del personale, la fatturazione e i rapporti con i fornitori. Anche rispetto ai canali di informazione e scelta del ristorante, per quanto il passaparola resti sempre il principale veicolo di informazione (per il 46,13%), l'online prende sempre più piede: Google (per il 14,85%) per la prima volta preferito rispetto a TripAdviso (per il 10,97%), Instagram (il 7,76% ) e Facebook (il 7,14 ): in totale il 40,72% dei clienti scopre il locale online. Il 13,13% - invece – si fa incuriosire dal passaggio davanti all’insegna.

Ma se l'online rappresenta un efficace strumento di comunicazione e un aiuto per i ristoranti, nasconde anche delle insidie, quelle rappresentate dalle campagne di promozione lanciate da piattaforme di prenotazioni on line che promettono sconti anche del 50%, che – denuncia la Fipe - “rischiano di aggravare ulteriormente la grave crisi che attraversa la ristorazione italiana prima per effetto dei tanti lockdown imposti dalla pandemia e ora per l’aumento vertiginoso ed inarrestabile dei costi dell’energia che stanno distruggendo i conti economici delle imprese”.

Come cambiano i clienti

Il cliente italiano vuole fare nuove esperienze: solo 9 clienti su 100 frequentano abitudinariamente gli stessi ristoranti, il restante 91% cerca nuove insegne anche lontano da casa: solo 4 clienti su 10 vivono in prossimità dei ristoranti provati, il 33,72% frequenta locali della propria provincia ma non nelle immediate vicinanze di casa, il 19,72% cambia regione e il 7,52 proviene da un altro Paese. Il 33,5% sceglie di frequentare il locale in coppia, il 30,6% con amici, il 28,9% con famiglia, il 3,7% con colleghi o per motivi lavoro, mentre il 2% si presenta al tavolo senza accompagnamento.

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Come è la situazione oggi?

Non rassicurante, con le ombre di un conflitto che non accenna a finire e l'incubo degli aumenti energetici diventati una realtà con la quale fare i conti. E che conti. Con il caro energia che si riversa con effetti catastrofici su tutte le attività: solo per fare un esempio, il costo nel settore vitivinicolo è stato valutato più di 3 miliardi di euro, costo che non è semplice spalmare sui prezzi al consumo  - e non è un caso che le associazioni di categoria richiedano interventi strutturali, per esempio “un patto di filiera” auspicato dalla Uiv. Tornando al settore dell'ospitalità il nuovo rapporto Fipe traccia uno scenario che non è molto migliorato, ma non è neanche peggiorato così tanto, almeno per ora: a fare da spauracchio è – come detto - il rincaro dell'energia e la conseguente difficoltà a far quadrare i conti. Quali sono a oggi le strategie per tamponare questi rincari? Oltre la metà dei ristoranti (il 63,6%) dichiara di aver modificato la propria attività: il 20,7% ha ottimizzato i costi di produzione, il 10,3% ha fatto tagli al personale, infine il 32,1% ha ridotto i consumi. Aumenti sui menu: a quanto ammontano? Il 26,95% degli intervistati ha effettuato aumenti inferiori al 5%, il 44,6% tra il 6 e il 10%, il 19,7% tra 11 e 15% e l’8,75% sopra il 16% (i dati emergono da un sondaggio della web app per la digitalizzazione dei ristoranti Plateform, su oltre mille locali in Italia); aumenti che - sottolinea la Fine - "sono ben al di sotto dell'inflazione generale": a settembre si sono assestati in linea generale al 5,9% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente.

Il 2021 anno zero della categoria. Quali prospettive per il futuro?

Tirando le fila, quali sono le prospettive per i prossimi mesi? Mai come ora sarà legato all'andamento del potere di acquisto degli utenti, in un panorama in cui si prevede un progressivo aumento delle disuguaglianze sociali ed economiche: dunque a essere più appetibili saranno i locali accessibili, di fascia medio bassa (come come già rilevato dall'osservatorio di TheFork) scelti prevalentemente per necessità o per piacere.  “La ristorazione è vissuta sempre più come un’esperienza e non come un bene di prima necessità. Chi saprà interpretare al meglio questo concetto, sarà protagonista della ripartenza del settore nel 2022 e negli anni a venire dopo un 2021 che ha evidentemente rappresentato l’anno zero della categoria". Per questo "la ristorazione, oggi, non è per tutti". Sarà sempre più difficile sopravvivere per chi si improvvisa: "È un mestiere complesso, appannaggio di chi è strutturato e organizzato, di chi è in grado di acquisire e formare personale qualificato, di chi fidelizza i clienti, di chi sa strutturare e organizzare il locale come un’azienda, di chi è in grado di gestire accuratamente l’aspetto finanziario. E anche di chi si è dotato, dove necessario, di sistemi internalizzati di prenotazioni e delivery e di chi ha ridisegnato i ruoli del personale di sala e cucina per rendere i locali più performanti”.

Insomma: "il 2022 è l'anno della ripartenza, ma non per tutti".

 

a cura di Antonella De Santis

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