Appunti di degustazione. Ruinart: la più antica maison di Champagne

27 Nov 2017, 14:00 | a cura di

Sotto terra pareti bianche di gesso, volte scavate a mano che diventano guglie altissime da cattedrale gotica. Sopra il paesaggio della Champagne, nella sua capitale: Reims. Un susseguirsi di nomi altisonanti di maison che dominano la scena delle bollicine mondiali, l’immancabile pioggia leggera, e le porte di un cancello che si spalancano. Si entra da Ruinart: la più antica maison di Champagne.


La storia

La famiglia Ruinart era conosciuta sin dal XV secolo per l'attività nel settore tessile; il cambio di rotta ci fu con Luigi XV che, con un’ordinanza del 25 maggio 1728, permise il trasporto del vino in bottiglie. Fu una svolta: la commercializzazione fu molto semplificata dato che non tutti potevano permettersi le botti, unico contenitore fino ad allora ammesso. Nacque così, nel 1729, per volontà di Nicolas - ispirato dalla figura di Dom Thierry Ruinart - la maison, che si distinse subito per qualità ed eleganza dei prodotti. Dopo 6 anni, Nicolas Ruinart si dedicò completamente al più redditizio Champagne, dando il via a ben sette generazioni di storia e bollicine.

ruinart

foto: www.ruinart.com

Claude, figlio di Nicolas, cominciò a lavorare col padre nel 1764 trasformando la maison in Ruinart Pere et Fils: fu lui a spostare l’attività dal centro di Reims. In città gli spazi erano limitati e dovevano affittare le cantine dei vicini per far fronte alle richieste: Claude decise di trasferire tutto in un posto che offrisse spazi adeguati alle loro esigenze. La zona scelta, Saint Nicaise, era allora abbandonata perché poco sicura e troppo distante dalla città; ma a Claude interessavano gli ampi spazi disponibili, sopra e sotto il livello del suolo, nelle crayeres, le cave di gesso abbandonate dal XV secolo, cattedrali sotterranee i cui scavi sono cominciati in epoca romana e che oggi si spingono fino a 38 metri di profondità. Ruinart fu la prima di tante prestigiose maison a insediarsi lì, iniziò la costruzione degli edifici nel 1780, quando subentrò Irénée, figlio di Claude. Ricordato per le migliorie al collegamento tra le crayeres, Irénée fu un importante sindaco di Reims. Fu lui a convincere, nel 1825, re Carlo X a tornare a Reims per la sua incoronazione, la notte di Natale, secondo una tradizione iniziata nel 496. Impressionato dalla capacità di Irénée nel garantire la sua incolumità, il re conferì alla famiglia il titolo, il cui stemma è riportato sulle bottiglie, di visconti di Brimont. Fu Edmond Ruinart, soprannominato Il Viaggiatore, successore e figlio di Irénée, a esplorare nuovi mercati, la Russia nel 1827 e gli Stati Uniti nel 1831. Un precursore per i tempi.

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ruiart. georgia russelGrande Libro di Georgia Russel

La maison e l'arte

Il percorso dei Ruinart è tracciato anche attraverso l’arte sin dai tempi della pittrice Mathilde Ruinart che nel 1867 arrivò fino in Giappone, proseguito con il primo manifesto sullo Champagne realizzato nel 1895 da Alfons Mucha su commissione di André Ruinart. Oggi la maison ospita opere di artisti contemporanei che, anno dopo anno, danno la loro visione di Ruinart: da Dustin Yellin che ha ripreso il diario di Edmond Ruinart per costruirne viaggi e avventure cristallizzate nel vetro, a Georgia Russell che nel suo “Grande Libro” del 2014, rappresenta il primo libro dei conti della casa - che riporta anche la prima vendita in Italia nel 1764 ai conti Durazzo a Venezia - un'elegante cascata di pagine intarsiate ispirate alle picconate nel gesso delle crayeres, in cui risalta la frase “Nicolas Ruinart padre nel nome di Dio e della Vergine Maria dà inizio al presente libro il 1° Settembre 1729”.

 

ruinart

Tra Champagne e gesso

Il reticolo di gallerie su più livelli accoglie la produzione Ruinart, un’infinita distesa di bottiglie in silenzioso e paziente affinamento, pronto a svelare ciò che la maison ha in mente per il suo futuro. Come il ritorno alla sboccatura manuale che avrà sempre più spazio, come dichiara Frederic Panaiotis, chef de cave della maison da maggio 2007: “La linea di sboccatura è il nostro fiore all’occhiello, ci avvaliamo della tecnologia jettingche ci assicura lo stesso livello di isolamento dall’ossigeno su tutte le bottiglie” spiega “Dopo la sboccatura, viene immesso un piccolissimo getto d’acqua ad altissima pressione che crea naturalmente la spuma e quindi anidride carbonica, togliendo aria. Abbiamo quindi lo stesso livello di ossidoriduzione in tutte le bottiglie, è un sistema usato nella produzione della birra ma non nello Champagne. Nel prossimo futuro” continua“dedicheremo una zona alla sboccatura a mano poiché abbiamo cambiato qualcosa nell’invecchiamento del Dom Ruinart, la nostra cuvée di punta, optando per il tappo di sughero dal millesimo 2010.

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Lo scopo?

Fare qualcosa di diverso e possibilmente meglio, dare ancora di più evidenza allo stile Ruinart. Cambia molto nel risultato, sono 15 anni che facciamo prove in parallelo e i test sono incoraggianti. Per noi questa strada comporterà costi maggiori, in termini di manualità, formazione delle persone e tempo, ma vogliamo rendere ancora più chiaro cosa è per noi lo Champagne.

 

Quali tappi sono usati?

Questo è un aspetto fondamentale. Abbiamo provato con i tradizionali che utilizziamo sempre, e fatto delle prove anche con tappi tecnologici in sughero che eliminano il problema della TCA (tricloroanisolo) ma su cui non abbiamo certezze per la tenuta nel tempo. Parliamo di bottiglie con 10 anni di invecchiamento minimo ma che possono uscire a distanza di 20 o 30 anni, e questi tappi garantiscono 15 anni di invecchiamento. Oltretutto sui tappi c'è una tecnologia che migliora di anno in anno, è un mondo in costante evoluzione. Una risposta alla possibilità di poterli usare su tutta la produzione di Dom Ruinart probabilmente non l’avremo mai.

 

Il nostro percorso inizia tra immense gallerie nella zona “moderna”, circondati da bottiglie in vari formati con il tappo in sughero a testimoniare la scelta dalla maison. Fino all’annata 2015, ultima papabile a diventare Dom Ruinart ma che crea qualche dubbio in Frederic: “Abbiamo avuto uno chardonnay molto maturo, ho già assaggiato qualcosa e ho trovato i vini già pronti. Perfetti per un non millesimato ma non so se arriveranno a essere Dom Ruinart, con un invecchiamento di 10 anni e più”.

 

Hanno inciso anche le basse acidità?

No, l’acidità non è un problema. È la maturità aromatica a lasciarmi perplesso, annate mitologiche come il ’59 hanno acidità basse ma gli Champagne sono ancora perfettamente godibili. È un discorso prettamente organolettico: con gli olfatti già così definiti e pronti, il rischio di una curva rapida di maturazione è concreto.

 

La 2006 è sul mercato, la prossima annata?
2007, la 2008 non mi piace, o perlomeno è per noi un’annata che ha avuto qualche problema. So di essere in minoranza ma per me è un’ottima annata più per il pinot noir che per lo chardonnay. La paragono alla 1996 che in alcuni casi ha portato degli Champagne precocemente ossidativi all’olfatto a fronte di grandi acidità e struttura.

ruinart. bottiglie a testa in giù

Arriviamo in una zona in cui le bottiglie sostano capovolte a testa in giù, invece che orizzontalmente. “È un progetto partito con il 1998, dopo un piccolo esperimento con il 1996. Dopo l’invecchiamento, quando lo Champagne è pronto per la sboccatura, lasciamo alcune bottiglie in questa posizione: c’è una grandissima differenza sull’invecchiamento”. Spiega Frederic che nella bottiglia da sboccare il livello di ossigeno è sempre zero: all’inizio della seconda fermentazione tutto l’ossigeno interno viene consumato dai lieviti in due settimane massimo. Quando la bottiglia è in posizione orizzontale il pochissimo ossigeno che riesce a entrare del tappo va a contatto diretto col vino, un processo che nei 10 anni di invecchiamento ha comunque il suo peso. Quando la bottiglia è in posizione verticale ma capovolta, i lieviti esausti si depositano tutti sul tappo. Questi, ormai morti, catalizzano le molecole di ossigeno, evitando il contatto con il vino. “Abbiamo fatto prove sia con il tappo a corona che con quello di sughero e abbiamo visto che l’evoluzione è diversa, in fondo è un metodo usato dai nostri predecessori in molte maison, come ad esempio Diebolt Valois: addirittura loro applicarono questo metodo a un migliaio di bottiglie del 1953 e il vino è tutt’oggi incredibile, freschissimo. Da qui nasce un nuovo concetto di Dom Ruinart: la Reserve”.

Il viaggio continua tra le incredibili crayeres: un ambiente straordinario, dichiarato Monumento Storico della Francia nel 1831 e Patrimonio Mondiale dell'Umanità dall’Unesco nel 2015, rifugio della prima guerra mondiale per la popolazione che lasciò testimonianze del suo passaggio e della sua sofferenza. Un luogo dalle condizioni climatiche perfette per il lento invecchiamento del Dom Ruinart.

 

Dom Ruinart e Dom Ruinart La Reserve: la verticale

Facciamo una panoramica attraverso lo chardonnay. “Un mosaico di vigne, il nostro, con il 15% di proprietà distribuite intorno a Reims e il resto acquistato da conferitori. Per lo chardonnay lo potatura è 'di tipo Chablis', con una resa per ettaro più bassa del passato avendo sostituito il portainnesto delle viti con uno meno vigoroso” illustra Frederic “la conduzione della vigna è il più sostenibile possibile ma ragionata: la Champagne non è una zona facile in cui produrre vini, soprattutto per i problemi di botrytis e oidio”. In cantina, invece?“L’obbiettivo di Ruinart è preservare quanto più la freschezza e ridurre al minimo il contatto con l’ossigeno: soprattutto nel Blanc de Blancs base cerchiamo di preservare gli aromi primari e lasciarli intatti in bottiglia, una vinificazione 'gentilmente riduttiva' e una rotondità ricercata attraverso la fermentazione malolattica per ammorbidirne il sorso. Purezza aromatica al primo posto anche in cantina dove non c’è legno, solo acciaio.”

 

Il battesimo è con il Blanc de Blancs, da una base 2014, buona annata per lo chardonnay, completato dal 2012 e 2013 come vini di riserva, per mantenere la sensazione di freschezza. Il risultato è un mix di crema al limone, agrumi, fiori gialli, sottofondo minerale e polvere da sparo, miele e pesca ad addolcire. L’acidità al sorso si avverte, il dosaggio da brut a 8 gr/l allunga dolcemente il sorso che chiude piacevolmente amaro sulla scorza di limone. L’obbiettivo di Frederic con questo vino è sintetizzato dai numeri 1-4-10: 1 bottiglia, 4 persone, 10 minuti per finirla.

Il battesimo con il Dom Ruinart - il campione di famiglia da uve chardonnay delle vigne dei comuni di Le Mesnil, Avize, Choully, tutti Grand Cru - inizia con il millesimo 2006. Qui la ricchezza olfattiva e l’ampiezza si fanno più accentuate, con toni caldi che virano addirittura verso il tabacco, la polvere pirica, un olfatto stratificato in cui l’agrume diviene arancia, in chiusura con aromi di nocciola tostata. Bocca ricca, potente, ampia, morbida, rispetto al Blanc de Blancs sembra aggiungere una dimensione al sorso. E come sottolinea Frederic, senza cambiare una virgola nella lavorazione rispetto al precedente: sono le uve, i cru e il tempo di affinamento a determinare il risultato.

Il Dom Ruinart 2004 è un profluvio di pesca gialla e mandarino, tratti rocciosi e sassosi, chiaro, diretto e comunicativo, luminoso e floreale. Lunghissimo, l’acidità appuntita esprime un sorso dritto e verticale, agrumato e lunghissimo, interminabile e, se possibile, molto più giovane e da attendere rispetto al 2006.

 

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Un confronto riassume il percorso della maison: se il Dom Ruinart 1998 è un affascinante mix di camomilla e miele, tartufo bianco e porcini, curcuma e tabacco, un negozio di spezie e pasticceria dal sorso avvolgente e saporito, il protagonista della giornata è La Reserve 1998, frutto dell’affinamento su tappo a testa in giù. Uno Champagne di freschezza quasi irreale, giovanissimo, ripercorre alcuni dei tratti speziati e tartufati del coetaneo ma in un contesto a cui si aggiungono toni erbacei e balsamici di rosmarino e menta, cenni di cioccolato bianco e un sorso possente e scattante nell’acidità. Lungo, salino, elettrico.

 

La sublimazione di un lavoro che Frederic Panaiotis riassume dal punto di vista tecnico: “La differenza è il lavoro svolto in questi anni dall’ossigeno dopo la sboccatura. Sembrerà strano ma, anche nelle bottiglie prima della sboccatura, c’è meno ossigeno in quelle col tappo di sughero anche rispetto alla corona usata per il 1998 'normale', anche in posizione orizzontale come abbiamo fatto finora: con il tappo a corona l’ingresso di ossigeno è costante nel tempo, con il tappo classico no. All’inizio c’è più ossigeno perché è presente nel sughero stesso ma, con le reazioni chimiche dei tannini e la lignina tappo, si consuma e ne fa passare meno. Dopo 6-7 anni il bilancio è favorevole al tappo tradizionale”.

La giornata trova degna chiusura con Dom Ruinart 1985, un soffio di vento marino che abbraccia fiori gialli e agrumi disidratati, un liquido intriso di iodio e spezie orientali, tartufo e grafite, decadente ed emozionante, di acidità e freschezza ancora pulsanti e vive, un lunghissimo saluto lì dove il gesso custodisce la storia di un territorio e di una famiglia.

 

Ruinart | Francia | Reims | 4, rue des Crayères | tel. +33 3 2677151 | https://www.ruinart.com/it-it

 

a cura di Alessio Pietrobattista 

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