Biodinamica. Non solo piccole cantine, ma anche grandi aziende

8 Feb 2021, 16:58 | a cura di
Non sono solo le piccole aziende agricole a scegliere la biodinamica: oggi anche le grandi cantine seguono gli insegnamenti di Rudolf Steiner

Sempre meno oggetto misterioso, con scivoloni esoterici, e sempre più disciplina riconosciuta, capace di un quadro agronomico chiaro. La biodinamica italiana è cambiata molto, negli ultimi anni, tanto al suo interno quanto nella percezione che riesce a trasmettere.

La dimostrazione è data dal numero di aziende agricole che hanno deciso di attuare la svolta, con il mondo del vino protagonista. Un dato quantitativo che incrocia quello della tipologia di cantine: se un tempo erano i piccoli, a volte i piccolissimi, a scegliere questo metodo produttivo, oggi non mancano casi di grandi realtà, con marchi storici e affermati decisi a imboccare la strada tracciata da Rudolf Steiner.

Tenuta Monsordo di Ceretto

La biodinamica nel vino: Ceretto la sceglie ma non si certifica

Basti pensare alla clamorosa decisione di Avignonesi a Montepulciano (circa 200 ettari in unico corpo), oggi tra le maggiori imprese vitivinicole gestite in biodinamica, a quella di Ceretto, tra le più significative griffe delle Langhe (nella foto di apertura). Quest’ultimo caso, in realtà, non ancora certificato da uno degli organismi preposti, ma la sostanza non cambia. “Arrivo personalmente a conoscere questo mondo nel 2009” afferma Alessandro Ceretto “la scintilla è scoccata subito, convincendomi ad avviare i primi esperimenti; prima solo sui cru di Barolo e Barbaresco, oggi nel 100% delle nostre vigne che occupano circa 130 ettari. Non proprio un lavoro facile da organizzare” continua “ma il risultato è straordinario in termini di qualità e sanità del suolo, microorganismi e materia organica. Tutte questioni che non venivano considerate, fino a venti anni fa”. Niente certificazione, però: “Non sono certificato perché al momento il marchio non ci porta benefici particolari, oltre al fatto che trovo certe posizioni eccessivamente dogmatiche. Per noi la biodinamica è un mezzo, non il fine: conta il vino che riusciamo a produrre. Me ne sbatto del resto, non voglio dimostrare niente. Non mi interessa neanche giustificare scientificamente le cose; leggo dei numeri ma non è la cosa importante. Basta vedere i terreni e loro la vitalità, così come la qualità dei vini. Inoltre sono eticamente felice. Non inquino e questo è già molto.”

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Altra folgorazione, forse inaspettata, è stata quella del celebre enologo Luca D’Attoma, che ha subito scelto questa via per Duemani, suo personale progetto sulle colline pisane. “Non così inaspettata” sorride il winemaker “Fin dall’inizio degli anni ’90 spingevo le aziende alla conversione biologica. Poi ho capito che serviva qualcosa di più completo, anche grazie a personaggi importanti, tra cui Francois Boucher con cui ho collaborato per diverso tempo. In effetti nel mio lavoro da consulente non ci sono cantine con questa impostazione ma per la mia non ho avuto dubbi. Paura di essere etichettato? Per niente. Voglio dimostrare che si possono fare ottimi vini con questa disciplina, rigorosi e senza difetti. Mi sono sempre battuto per questo: se i vini hanno problemi la colpa non è certo della biodinamica. Serve attenzione, approccio, dedizione, pulizia”.

Tenuta di Valgiano

La biodinamica nella Toscana dei grandi vini

Insomma, il movimento in Italia non è solo ad appannaggio di aziende iper “alternative”, un po’ hippy, dall’immagine scanzonata e irriverente ma ha fatto proseliti anche in ambienti, diciamo così, “borghesi”. Con la sua fisionomia da chateau, la Tenuta di Valgiano, sulle colline lucchesi, è l’esempio di come si possa coniugare prestigio e respiro globale con una visione olistica e sostenibile del vino, creando peraltro una sorta di “distretto della biodinamica” che ha pochi eguali al mondo.

Sono i primi anni Novanta quando Moreno Petrini, insieme a Laura di Collobiano e con il supporto tecnico di Saverio Petrilli, avvia la sua realtà. “Fin dai primissimi anni ho avuto una reazione istintiva all’utilizzo di sostanze nocive. Lo trovavo assurdo così mi sono avvicinato al mondo del biologico e finalmente alla biodinamica. L’obiettivo era ricreare humus nel terreno, qualcosa di cui nessuno parlava se non i biodinamici”. A quel punto arrivarono i primi contatti con alcuni produttori australiani e da lì quello con Alex Podolinsky (che è stato Presidente di Demeter Australia e, in pratica, il fondatore del movimento in quel paese). “Ci è subito piaciuto il suo approccio pragmatico, da agricoltore che ha messo la sua esperienza al servizio di altri agricoltori. Decido dunque di entrare nel giro e compro i primi libri di Joly, che leggo in francese. Di lì alla certificazione, arrivata nel 2006, il percorso è stato esaltante. Molto è dipeso anche dalla mia formazione nel vino, di appassionato assaggiatore: in ogni occasione quelli biodinamici erano i più accattivanti, anche se all’inizio meno immediati. Come non innamorarsi, del resto, dei vini di Leflaive, Romanée Conti, Leroy, Lafarge, Comte Lafon o Marcel Deiss?”

E ora, qual è la sua posizione “Dove mi colloco oggi? Non è una cosa su cui mi interrogo. Faccio il vino che mi piace e basta, sono stato critico verso certi vini dell’enologo né mi piacciono i vini eccessivamente funky. Nel mondo biodinamico, chiamiamolo così, i miei vini sono a volte criticati perché troppo corretti e dunque 'poco naturali'. Questo è un grande limite per il movimento. Sul piano dell’immagine, almeno per dove vogliamo collocarci, la biodinamica non basta. Se vuoi vendere a certi prezzi è la qualità che parla, non le etichette. Sono molto critico verso le derive 'commerciali' della materia: vendere una filosofia più che il vino è sbagliato”.

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Ma la lista dei nomi di pregio, convertiti o arrivati in qualche modo alla biodinamica, è sempre più lunga e riguarda marchi celeberrimi del settore, da Foradori in Trentino a Castello dei Rampolla, nel cuore del Chianti Classico, tanto per fare altri esempi di spicco. Fatto sta che il club della biodinamica Made in Italy ha oggi un pedigree di assoluto valore, capace di abbattere barriere e luoghi comuni; un po’ come in Francia, paese in cui molte realtà di pregio lavorano da tempo in questo modo, senza rinunciare alla loro immagine classica e prestigiosa.

Imparare la biodinamica

Tornando ai fatti di casa nostra, la biodinamica appare sempre più come un paradigma di regole organiche, trasmissibili e dagli effetti misurabili. Si moltiplicano i corsi ed è addirittura nato un Master annuale, giunto alla quarta edizione, promosso dal centro di formazione Cambium e coordinato dal noto professionista Adriano Zago. Un programma didattico strutturato, rivolto a diverse figure del mondo del vino: produttori, consulenti, ricercatori universitari, responsabili marketing e commerciali, addetti alla comunicazione.
La prossima edizione si terrà dal 26 Aprile al 1° Maggio 2021 presso il Castello del Trebbio (Pontassieve, Firenze; per informazioni e iscrizioni basta scrivere a: [email protected]).

Come dice Zago, “essere biodinamico non significa fare le cose random, con risultati discutibili”. Questo vale per i processi produttivi, in vigna e in cantina, ma anche per l’immagine, la comunicazione e il marketing. I seguaci di certe discipline si sono schierati contro l’omologazione del gusto ed è giusto che questa scelta di fondo sia declinata in tutti gli aspetti aziendali, alla ricerca di una propria identità etica ed estetica.

a cura di Antonio Boco

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