Volete arricchirvi col vino? Ecco quelli italiani su cui puntare

25 Apr 2023, 10:58 | a cura di
Negli indici internazionali di mercato l’Italia del vino vince: ecco i vini e i territori su cui puntare sia in termini di qualità sia in termini di investimento.

C’è una vera e propria rivoluzione che investe tutte le regioni e tutti i comparti della nostra enologia. Una rincorsa che parte da lontano – ormai una dozzina d’anni fa – e sta riposizionando i nostri vini sempre più in alta gamma. L’export enologico italiano ha ormai superato il consumo interno, con i vini più pregiati che prendono la via dei Paesi extra Unione Europea, più propensi a spendere cifre elevate per una nostra bottiglia. Oggi, non c’è regione italiana, non c’è distretto vinicolo che non siano impegnati in una ridefinizione stilistica, nella riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni, nell’approfondimento del legame di questi con i terroir di maggior prestigio. Questo con una grande novità rispetto al passato: la costante irresistibile ascesa dei grandi vini bianchi, quasi sempre da uve autoctone, che stanno dimostrando grandi doti di eleganza e straordinaria capacità di evolvere nel tempo. Ecco allora, sulla scorta dei nostri assaggi, i suggerimenti zona per zona per cogliere questi “fermenti”.

La ricerca ha portato a una vera una rivoluzione copernicana della scena enologica – dice Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi - riscoprendo territori ritenuti a torto non vocati e il valore di tante uve autoctone. Il merito va alla nostra categoria: 5.000 professionisti che anche dopo la laurea continuano studiare e a formarsi. L’enologo sa interfacciarsi con il consumatore, che sempre più vuole parlare con chi il vino lo ha seguito dal vigneto e alla bottiglia, e molti sono anche brillanti manager che gestiscono con successo grandi aziende”.

vigne valtenesi

Territori da (ri)scoprire. Partiamo dal Nord

La nostra ricerca inizia tra i filari della Valle d’Aosta: regione ma con una qualità media tra le più alte a livello nazionale con i bianchi che continuano svettare nelle nostre degustazioni per fragranza e definizione aromatica con chardonnay, petite arvine o pinot grigio che toccano vertici di eleganza. Si pianta sempre più in quota e non mancano etichette pregiate da vigne che superano i 1.000 metri: un’autentica garanzia di longevità in ottica di un riscaldamento globale sempre più feroce. E, oltre ai nomi storici, c’è un movimento di piccoli produttori, grazie a un ricambio generazionale sempre più marcato, da seguire con molta attenzione.  Varchiamo il confine per addentrarci nelle atmosfere del Piemonte: nessun’altra regione ha conosciuto una crescita verso l’alto dei prezzi come qui, fenomeno trainato dalle Langhe dove la fase di “premiumizzazione” sta toccando ora anche denominazioni come il Langhe Nebbiolo. I cru di Barolo continuano, a pieno titolo, ad attirare le attenzioni della stampa nazionale e soprattutto internazionale svettando nelle classifiche commerciali e nelle aste internazionali, ma attenzione alla vivacità del Timorasso nell’Alessandrino, dove tanti barolisti hanno piantato, e dal progresso dei vini dal Nord Piemonte con Gattinara, Ghemme, ma anche Fara e Bramaterra sempre più ricercati a livello internazionale per via di un rapporto qualità-prezzo decisamente attrattivo.

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Mantenendoci in un registro di finezza, continuiamo a ritenere il ligure Rossese di Dolceacqua un vero e proprio gioiellino nel panorama ampelografico mondiale: rossi di forte personalità, originali e gioiosi nella bevuta. Insomma, un vino contemporaneo. Tratti che ritroviamo, con altri registri, in Valtellina, dove l’appassimento parziale delle uve sta lasciando più spazio a rossi finissimi e ariosi, con una segmentazione sempre più precisa delle zone, con la Sassella come punto di riferimento, ma anche Grumello e Inferno di livello, e di bevibilità travolgente. Rimanendo in Lombardiatrattiamo il tema degli spumanti in una sezione ad hoc – troviamo un modello gustativo sempre più a fuoco nella zona della Valtènesi, l’unica denominazione italiana che ha scelto il vino in rosa come prima bandiera del territorio, con un gruppo di produttori molto coeso e determinato, per Chiaretto da uve groppello delicatissimi, territoriali ed estremamente versatili sulla tavola. Lugana e Custoza scalpitano con i loro bianchi, e a proposito di ridefinizione stilistica, nella zona della Valpolicella la nuova attenzione verso Il Valpolicella Classico Superiore ci sta regalando rossi che si discostano nettamente dal filone dell’Amarone, riportando tratti gustativi cesellati che avevamo dimenticato di associare a uve come la corvina, anche grazie a tanti nuovi cru per letture più fresche e fragranti del territorio. Seguiamo da molto vicino anche il fenomeno “super whites” in Alto Adige che strappano prezzi impensabili solo pochi anni fa: vini pensati per il lungo termine, proprio come i bianchi del Collio e dei Colli Orientali, capaci di emozionare anche a 20 anni dalla vendemmia.

Dal Lambrusco al Cesanese

Percorriamo i fiumi Secchia e Panaro per raccontarvi dello straordinario percorso di crescita del Lambrusco di Sorbara, che ha rivoluzionato l’immagine dell’interno mondo Lambrusco, con una costanza qualitativa mai vista negli ultimi 10 anni: crescono i rifermentati e addirittura incontriamo Metodo Classico di altissimo profilo. Notevolissimi anche i progressi sui Sangiovese in Romagna: i vecchi stilemi sono ormai superati e anche qui la varietà si esprime sempre più in quota con tratti più fini e smussati di quanto accadeva solo 5 anni fa. In Toscana il Brunello di Montalcino continua a scalare le classifiche internazionali, ma è interessante anche il fermento intorno al Rosso di Montalcino. Nel Chianti Classico mai come negli ultimi si è avvertito l’effetto dell’altitudine nel bicchiere, con sottozone come Radda in Chianti e Lamole, dove un tempo l’uva faticava persino a maturare, oggi sugli scudi. Senza dimenticare le griffe di pregio e i rossi di carattere che vengono dalla Val d’Orcia e dalla Costa Toscana, altro grande laboratorio della regione.

In Umbria, salgono le quotazioni del Grechetto e del Ciliegiolo, all’insegna del ritmo e della progressione gustativa, mentre da Montefalco arrivano i frutti di una rielaborazione del Montefalco Rosso come lettura più immediata, ma non meno complessa, del territorio. Ci spostiamo sulla costa adriatica tra le pagine del Verdicchio che finalmente, dopo anni di duro lavoro di tanti virtuosi vignaioli, è sempre più riconosciuto a livello internazionale: vini che maturano con grazia, armonia e freschezza, portando quel valore aggiunto a lungo ricercato in zona. In Abruzzo – dove il Pecorino è un vino scoppiettante a livello di vendite e di produzione ed è molto stimolante il lavoro sui diversi biotipi del trebbiano – vero punto di forza è il Cerasuolo d’Abruzzo, denominazione sulla quale siamo pronti a scommettere per allontanarci dalla folta offerta di rosati contemporanei, fin troppo pallidi nel colore ma soprattutto nel carattere. In direzione della Capitale, siamo poi contenti di annoverare uve di origine francesi che regalano espressioni di notevole profondità e classe, da una parte, e un lavoro sul cesanese, che sia di Olevano o del Piglio, oggi finalmente a fuoco e ben definito.

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La crescita delle produzioni di Sud e isole

Se oggi guardiamo alla Falanghina del Sannio come a un vino di caratura, capace d’invecchiare anche molto bene, lo dobbiamo ad alcuni produttori campani virtuosi che hanno tracciato la strada, arricchendo il panorama di una regione che non ha ancora compreso il reale valore internazionale dei suoi bianchi. Pensiamo al livello di alcuni Greco di Tufo o, ancor di più, di Fiano di Avellino capaci non solo di tenere, quanto di evolvere in bottiglia con un carattere imprevedibile e sensazionale. Sul fronte rossi, il Piedirosso è sicuramente maggiormente sintonizzato sul gusto attuale di quanto non lo sia l’Aglianico, ma anche qui i lavori fervono, riadattando tempi di macerazione e legni (o anfore) per ristrutturazioni stilistiche.

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Per anni abbiamo ribattezzato la Basilicata ‘The Next Big Thing”: l’attesa non è ancora finita ma ci sono segnali molto incoraggianti per un areale che si sta muovendo bene su tutti i fronti. Spostandoci in Puglia, funziona la connotazione distintiva del Primitivo, con le letture di Gioia del Colle e di Manduria speculari e ben caratterizzate. Ma la sorpresa regionale si chiama Susumaniello, varietà a lungo dimenticata e tornata rapidamente in auge grazie a vini snelli e fruttati, levigati nel tannino e intensi nella trama speziata. Suona musica rock, poi, in Calabria: chi pensa che ormai in Italia non ci siano più nuovi territori da scoprire farebbe bene a farsi un giro qui dove negli ultimi anni sono nate decine di nuove aziende in zone poco note. Sono il risultato di un ritorno alla terra da parte di tanti giovani, che mettono in campo visione, pratiche sostenibili e uno stile decisamente contemporaneo. L’esempio dei grandi Cirò è contagioso…

Sull’isola più grande del Mediterraneo, l’Etna è stato il grande fenomeno del vino italiano degli ultimi 15 anni e il suo slancio continua: numeri produttivi in crescita, salgono i prezzi dei terreni, dei vini, aumenta l’offerta ricettiva del territorio e il suo carattere internazionale. Il lavoro sulle singole contrade è stato pionieristico. Noi, inguaribili romantici, amiamo particolarmente anche gli Etna Rosato, dall’incedere fumé lento e leggiadro, e siamo convinti che gli Etna Bianco esprimano una longevità a dir poco preziosa e appena sfruttata. Ma è tutta la Sicilia a fornire spunti e stimoli, dai vibranti Cerasuolo di Vittoria ai Frappato, al movimento del versante orientale, con Grillo sempre più complessi che rispolverano anche una lezione pre-british ovvero antecedente l’invenzione del Marsala, sempre più raro e meno prodotto.

Chiudiamo in Sardegna dove vecchie vigne semi-abbandonate sono oggi un autentico patrimonio, il motore per nuovi progetti vitivinicoli, tra collaborazioni di autentici vignaioli e realtà boutique sponsorizzate da cantine più strutturate. Grandi e piccoli dialogano sotto il segno di un’eredità finalmente splendente che poggia sul solido piedistallo delle uve autoctone e delle denominazioni della tradizione. In questa Italia del vino contemporanea, insomma, c’è tanto da assaggiare e da scoprire. Siamo il paese dei mille terroir, della biodiversità, della cucina più amata e salutare del mondo. Con il nostro impegno nella sostenibilità –basti pensare alla nascita di Equalitas, il migliore standard internazionale secondo gli esperti – siamo un esempio per molte altre terre da vino. Ma alla fine di tutto ciò, parlando di vino, conta quanto questo sia buono. Il vino italiano non è mai stato buono come oggi. E il suo valore è in ascesa.

a cura di Marco Sabellico e Lorenzo Ruggeri

QUESTO È NULLA…

Nel mensile Gambero Rosso di aprile 2023 si parla anche della crescita dell’export del vino italiano e del lavoro dei colleghi stranieri che si sono innamorati dei nostri vini e che li raccontano in maniera appassionata nei loro paesi di origine. Nell'articolo potete scoprire quali sono i vini italiani su cui scommetterebbero, grazie al loro potenziale in crescita sul mercato internazionale.

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