Chiusi bar, ristoranti e altre attività di vendita e somministrazione, l'Italia che non vuol (o non può) cucinare o che vuole concedersi una serata un po’ diversa vede, come unica alternativa ai cibi pronti, il delivery, ovvero la consegna a domicilio. Che in questi giorni di isolamento può rappresentare anche un piacevole diversivo, surrogato domestico di una cena fuori. Mentre per molti operatori del settore è una minima via d'uscita alla sospensione completa di tutte le attività, per provare a mantenere in vita aziende, società e stipendi. Un modo per mantenere vivi i contatti coni propri clienti, tenere accesi i motori (seppure al minimo) e impiegare tempo e risorse, gestire il magazzino, perché chiudere da un momento all'altro può significare buttare cibo e tanti soldi.
Dunque il delivery come soluzione per superare (economicamente e psicologicamente) questa emergenza. E non solo per i pasti pronti, ma anche per la spesa (possibilmente no waste)a i cocktail e il vino. A che prezzo? Dopo aver capito, a tempo debito, quali sono i costi per gli utenti e le strategie di ognuno (seppur passato un po' di tempo le cose non sono poi tanto cambiate) abbiamo ora cercato di fare lo stesso per quanto riguarda il versante dei ristoratori, limitandoci al territorio di Roma (per il quale vi abbiamo già dato i nostri consigli per la consegna a domicilio).
I costi del food delivery
Rivolgersi a un'agenzia di consegne di cibo ha ovviamente un costo che copre sito, marketing, logistica, runner. La percentuale sugli ordini varia dal 22 al 35%, i tempi di rimborso sono settimanali, bisettimanali o mensili - qualcuno parla anche del 20 del mese successivo, che a livello di cassa è piuttosto massacrante per dei piccoli artigiani – e, anche se nella maggior parte dei casi sono puntuali, non mancano eccezioni e qualche ritardo. Per molti si tratta di un costo troppo alto, sostenibile solo se il delivery è considerato come un'attività collaterale, che integra la normale somministrazione. Anche perché le spese della materia prima sono state già sostenute, gli incassi arriveranno solo dopo qualche settimana, ovviamente decurtati della percentuale del costo del servizio. Naturalmente chi punta tutto sulla qualità rischia di essere messo al muro, o di decidere di abbassare il food cost e dunque il livello di eccellenza della proposta.
Perché talvolta il gioco non vale la candela
“Il 35% sul cibo per me è una soglia troppo alta per rientrarci con il mio tipo di proposta” spiega Pasquale Livieri (Il Sorì e Matière a Roma) “per farlo dovrei abbassare la qualità rispetto al solito”. Discorso diverso per il vino: “già applicano uno sconto del 20% per la vendita a scaffale, un altro 10% riuscirei a sostenerlo ma non di più, considerandolo un servizio al pubblico, un modo per mantenere vivo il legame con la clientela e per impiegare la forza lavoro altrimenti ferma. Mi chiedo, però, se sono autorizzato a gestire direttamente la consegna a domicilio oppure serva una autorizzazione”.
Per qualcuno la questione si è presentata già diverso tempo fa. È Francesco Trimani, dell'omonima storica enoteca, che ha scelto di avere una persona per le consegne, su Roma, mentre sul resto d'Italia si appoggia a corrieri. “Preferisco che – almeno su Roma – a fare le consegne per noi sia una persona che conosco e so come si comporta. E che faccia qullo" risponde convinto "perché anche per fare consegne ci vuole profssionalità. Ma oggettivamente una persona a busta paga implica costi diversi e capisco che non sempre si possano sostenere. Inoltre” continua “un conto è servirsi di un operatore esterno: una volta affidato il pacco, finisce lì, un conto è un dipendente, verso il quale senti una responsabilità umana e morale. E anche questo ha un suo peso nella scelta. Inoltre credo che oltre alla qualità del food vada considerata anche la qualità del lavoro e il trattamento della persona che consegna”.
Cosa dicono gli operatori
Nel mondo dei delivery, ogni contratto tra esercente e agenzia di consegne fa storia a sé, e ogni ristorante ha costi e percentuali diverse in base a molti fattori, probabilmente anche legati alla posizione del locale. Mettendo insieme molti dati abbiamo tracciato delle indicazioni di massima, ma la policy di Assodelivery (che riunisce Glovo, Just Eat, Uber Eats, Deliveroo, SocialFood, ovvero il 90% del mercato) è di non rilasciare informazioni di questo tipo, stessa risposta per quanto riguarda l'ipotesi di applicare delle tariffe o regole diverse in questo momento così particolare. “Non abbiamo aggiornamenti da dare in questo momento, ci atteniamo alle linee guida di Assodelivery-Fipe” è sola risposta data da Deliveroo, che però pare essere voce anche del resto dell'associazione. Le linee guida riguardano le norme idienico sanitarie da seguire (ve ne abbiamo parlato qui).
Diversa la posizione di Cosaporto, un player che si muove su altri target di mercato e con un altro approccio: pochi affiliati (circa 50, che propongono non solo cibo ma anche altri prodotti), uno scontrino medio più alto (circa 52 euro), a fronte di una percentuale di commissione più bassa - “in media il 25%”- ma la richiesta agli esercenti di mantenere il prodotto, verso il pubblico, allo stesso prezzo del locale su strada. Per affrontare questa emergenza ha deciso di annullare i costi di consegna per i clienti (tra 3,9 e 6,9 euro), cosa che ha innescato l'emulazione di alcuni locali affiliati e dunque una serie di offerte per chi ordina “lo abbiamo fatto per incentivare l'uso del servizio e favorire i clienti” dice Stefano Manili che tra l'altro ha all'attivo anche una serie iniziative benefiche, come quelle a favore dello Spallanzani o del Sacco. Ma come stanno andando le cose in questi giorni? “È un momento strano, abbiamo un decimo dei negozi e più del triplo delle consegne. Ma anche diversi problemi: dai ragazzi che non vogliono uscire alle cancellazioni degli ordini: solo mercoledì sera sono state 220”. Segni di ripresa per Just Eat, dopo una prima settimana di flessione, conseguenza di università chiuse e di una corsa all'accaparramento nei supermercati. Just Eat offre servizi diversi e costi conseguenti: “affidandosi in modo diretto a Just Eat anche per le consegne (tra il 25 e il 30%), oppure gestendo in autonomia con proprio personale la delivery (15-20%)”.
Per tutti gli operatori, il servizio include anche comunicazione, con tanto di materiali video e foto e spesso consulenza, che emerge anche dalla lettura dei dati raccolti, come le preferenze dei clienti, per esempio. Foodys, poi, nella prossima settimana (la seconda di marzo) attiva uno sportello di consulenza gratuito per i ristoratori che vogliono fare un loro delivery. “Gli consigliamo come trasportare gli alimenti, quali mezzi utilizzare, cosa fornire, tempi e tanti altri servizi che stiamo definendo”. A proposito di costi: i loro, dicono, non sono cambiati i costi in questi giorni: "25-35%, nessun costo di affiliazione e rimborso a un mese".
I costi del food delivery a detta dei ristoratori
Cosaporto
Commissione: 25-28%
Costo di attivazione: nessuno
Rimborso: mensile
Deliveroo:
Commissione: 30-35%
Costo di attivazione: 400 (contratto stipulato a novembre 2019) - 599 (a marzo 2020)
Rimborso: 2 settimane
Foodys (ex Moovenda)
Commissione 30-35%
Costo di attivazione: gratuito costo per alcuni, 300 euro per altri
Rimborso: 2 settimane/oltre un mese
Glovo
Commissione: 25%
Costo di attivazione: 150 euro
Rimborso: 2 settimane
Just eat
Commissione: circa 30%
Costo di attivazione: 299 euro
Rimborso: 2 settimane
Uber eats
Commissione: 28-30%
Costo di attivazione: nessun costo per alcuni, 300 euro per altri
Rimborso: 1-2 settimane