Salumi da Re 2019. Cosa succede quando i norcini usano i tagli meno nobili e le carni non suine?

21 Feb 2019, 12:21 | a cura di
La tre giorni alla corte dei fratelli Spigaroli, dal 30 marzo al 1° aprile, sarà animata da un ricco calendario di convegni-degustazione. Dopo aver scoperto i temi caldi di questa sesta edizione, ne approfondiamo qui altri due.

Manca poco più di un mese alla sesta edizione di Salumi da Re, la grande festa che (dal 30 marzo al 1° aprile) radunerà allevatori, norcini e salumieri all’Antica Corte Pallavicina dei fratelli Spigaroli, organizzatori dell’evento assieme al Gambero Rosso. Proseguiamo dunque a raccontarvi come sarà la manifestazione, soffermandoci sulle tematiche di due dei convegni che animeranno il Gran Palco del Maiale.

Il primo, in programma sabato 30 alle 18.45, si concentrerà sui “Poveri ma buoni. I salumi fatti con i tagli meno nobili”: una bella occasione per scoprire come l’abusato detto secondo cui “del maiale non si butta via niente” possa effettivamente essere alla base di prodotti di qualità, capaci di raccontare tradizioni antichissime che rischiavano di scomparire.

La Susianella di Viterbo: l’insaccato degli Etruschi che si sposa bene con la birra (scura)

Ne è un esempio la Susianella di Viterbo, tutelata dal Presidio Slow Food e che il salumificio Coccia Sesto – uno dei tre che la realizzano nel rispetto del disciplinare di produzione – porterà a Salumi da Re. “A dare il via all’attività fu mio padre Sesto nel 1947, dopo essere arrivato qui dall’Umbria”, ci racconta Simonetta Coccia, “e nei miei ricordi la susianella c’è sempre stata: si tratta di un insaccato a base di corata (esofago e polmone esclusi) a cui si aggiungono spalla, pancetta e guanciale freschi, il tutto da suini che devono essere nati, allevati e macellati nella Tuscia Viterbese; è poi nella concia, dove comunque non mancano finocchio selvatico e peperoncino, che ognuno ha più libertà di azione e modo di mettere la propria firma impiegando altre spezie”. Successivamente si procede all’insaccatura nel budello naturale, dando al salume la sua tipica forma a ferro di cavallo o a ciambella. Infine, la stagionatura da un minimo di venti giorni a un massimo di sei mesi, garantendo così una gamma di sfumature diverse in termini di sapori e aromi.

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Caratteristiche, queste, che i ristoratori così come il consumatore finale dimostrano di apprezzare, senza dubbio anche grazie allo studio e alla voglia di valorizzarle di realtà come quella dei Coccia: “facendo delle prove abbiamo scoperto che la susianella si abbina molto bene alle birre scure”, ricorda Simonetta, “e in diversi locali non viene più proposta solo nei taglieri, in compagnia delle mostarde, ma utilizzata anche ai fornelli per dei primi piatti, ad esempio per fare un soffritto e condirci le fettuccine assieme alle punte di asparago”.

Al fascino della susianella contribuisce inoltre la sua secolare storia, che si fa risalire agli Etruschi: pare, infatti, che sia persino rappresentata su alcune tombe, tra cui quella dei Leopardi – del 473 a. C. – che si trova a Tarquinia. E che la Sesto Coccia ha reso protagonista del suo packaging: insomma, per questa famiglia la norcineria è un’opportunità per far conoscere il Viterbese e la sua ricchezza, la stessa che c’è dietro al salame al miele della Tuscia e al salame cotto all’aleatico (si potranno trovare entrambi a Salumi da Re).

Povero, ma buono: la salamella di fegato (e non solo) di Re Norcino

Territorialità e tradizione contraddistinguono altresì il lavoro di Re Norcino, un’impresa a conduzione familiare con sede a San Ginesio (nel Maceratese): un caso interessante – e virtuoso – perché i Vitali sono principalmente allevatori, che si dedicano in parallelo alla salumeria, ampliata nel 1997 con l’acquisto di un casale di fine ‘800 nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, dove le particolari condizioni microclimatiche fanno delle cantine dell’edificio l’ambiente ottimale per la stagionatura dei salumi. Tra i “poveri ma buoni” di Re Norcino spicca la salamella di fegato, “un insaccato stagionato” – come ci spiega Giuseppe Vitali – “contenente carne, grasso e fegato del maiale: quest’ultimo, nonostante corrisponda a meno del 20% del prodotto finale, è comunque sufficiente a conferirgli la sua colorazione scura e il gusto caratteristico”.

Un gusto che piace? Sì, ma pure qui è il know-how dei produttori a fare la differenza: “il nostro impegno e i tanti tentativi ci hanno premiati”, conclude Giuseppe, “ma ancor di più conta il valore aggiunto della ricetta, sviluppata da mio fratello ispirandosi a quelle di famiglia”. A Salumi da Re le salamelle di Re Norcino non mancheranno, così come altri salumi tipici della zona (vedi ciauscolo e salame Sibillino).

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Mortadella? Sì, ma anche di cinghiale

La conoscenza e la ricerca sono prerogative fondamentali anche in un altro settore della norcineria, quello di cui si parlerà domenica 31 marzo a partire dalle 10.30: “Non solo maiale: salumi fatti con carni non suine”. Come nel caso della mortadella di cinghiale della Zivieri Massimo, macelleria con laboratorio di trasformazione a Zola Predosa (nel Bolognese) e impegnata in varie altre attività, tra cui l’Osteria Teatro della Carne all’interno di Fico - Eataly World. Certo, nella patria della mortadella (la Bologna, per altro, è un’Igp: il discorso delle certificazioni, come vi abbiamo già anticipato, sarà proprio uno dei temi caldi di questa sesta edizione), l’idea di proporne una versione al cinghiale sembra decisamente una bella sfida.

Precisiamo, però, che una componente di grasso di suino, di razza Mora Romagnola e che alleviamo allo stato semibrado, comunque c’è”, sottolinea Aldo Zivieri, “abbiamo investito tante risorse per conoscere meglio la selvaggina, scoprirne valori nutrizionali e prospettive di mercato: si tratta, ad esempio, di carni molto ferrose, da animali che hanno vissuto liberi e che non sono statici, la cui alimentazione cambia dunque di continuo e di stagione in stagione, con un riflesso importante nel ventaglio aromatico e di sapori”. Purché – dato non trascurabile – la caccia sia regolamentata e tenuta sotto costante controllo: “Trattiamo solo selvaggina che arriva da caccia di selezione: questo significa che ci sono svariate regole da rispettare, dal calendario delle uscite al numero di animali di una determinata specie che si possono abbattere”, ribadisce Zivieri. Un cognome che, a Salumi da Re, porterà inoltre salami di cinghiale, capriolo, daino e cervo, senza dimenticare mortadella, prosciutto e salami di Mora Romagnola.

La bresaola, il salume magro per antonomasia

Ma non si può parlare di salumi “suino-free” (non sempre e non completamente, come abbiamo appena visto) senza citare quello rappresentativo per eccellenza della Valtellina: la bresaola. Che - come ci racconta Nicola Paganoni dell’azienda Paganoni di Chiuro, in provincia di Sondrio, avviata negli anni ’80 per la commercializzazione di alimenti freschi e dedicatasi in un secondo momento alla norcineria – “nasce dai tagli di coscia di bovino, cavallo o cervo; oggi, invece, la si ottiene principalmente dal bovino e i tagli impiegati sono fesa (anzi, il più diffuso è una parte di quest’ultima: la punta d’anca), sottofesa, girello e noce; viene effettuata la salatura a secco con un mix di sale e spezie, ogni pezzo è poi lasciato riposare e, nel mentre, si effettuano massaggi per facilitare la penetrazione del sale, per passare infine alla fase della stagionatura”. La quale, però, non deve essere eccessiva, dato che si tratta di un salume votato al largo consumo – spesso impiegato come sostituto di un secondo piatto – e che deve conservare una certa delicatezza, oltre che di un prodotto privo di parti grasse, che – se stagionato troppo – diventerebbe secco e con concentrazioni di sale eccessive.

Ma se dicessimo bresaola di Wagyu?

Vero ma non del tutto, perché nell’universo Paganoni la bresaola è un concetto da declinare al plurale: “vogliamo garantire esperienze diverse di degustazione e lasciare che sia il consumatore a decidere su cosa orientarsi”, afferma Paganoni. Ecco perché, oltre a quelle prodotte a partire dalle razze francesi Limousine, Charolaise e Garronese, e dalla scottona (femmina che non ha partorito) austriaca, l’azienda ha deciso di cimentarsi nella realizzazione di bresaola di Wagyu, carne tanto chiacchierata per il suo contenuto di grasso e la marezzatura impareggiabile. Un controsenso? No, piuttosto un modo per abbattere i luoghi comuni, fare della bresaola non solo l’affettato consumato da chi si mette a dieta, ma anche da chi – spinto dalla curiosità – ha voglia di assaggiarlo in una veste nuova. E potrà farlo pure a Salumi da Re, dove Paganoni porterà altresì slinzeghe (simili alle bresaole, ma ottenute da ritagli e pezzi più piccoli e di solito dalle dimensioni più ridotte) e salamini di selvaggina.

E di Zebù? La questione delle razze

Tornando alle razze, la questione è in realtà stata oggetto di frequenti polemiche, perché quella più utilizzata per la bresaola è lo Zebù, un bovino allevato in Sudamerica. E, pure in questo caso, il punto di vista esperto di Nicola Paganoni ci aiuta a scardinare i cliché: “la carne di Zebù non è particolarmente economica e scelta per risparmiare, ma è estremamente magra, quindi in linea con ciò che la maggioranza delle persone cerca; come, allo stesso tempo, è innegabile che il congelamento – necessario per il trasporto in Europa – possa inficiarne gli standard qualitativi: noi infatti la utilizziamo per una piccolissima percentuale della nostra produzione, che nel 90% dei casi è invece frutto di carni fresche europee. A fare la vera differenza è solo l’atteggiamento del produttore, che va a cercare il meglio ovunque”.

 

a cura di Agnese Fioretti

foto di Coccia Sesto

 

N.B. Nella nostra sezione www.gamberorosso.it/salumi-da-re/ ogni settimana troverete approfondimenti sulla manifestazione. Tenetevi aggiornati!

Salumi da Re | 30-31 marzo / 1 aprile | Antica Corte Pallavicina | Polesine Zibello (PR) www.salumidare.it/

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