Cibo e cinema. Il mito dei Blues Brothers: la cena al ristorante, il pane e il pollo fritto

3 Lug 2022, 10:58 | a cura di
Tra le tante scene indimenticabili del film di Landis, quelle per recuperare i componenti della banda, entrambe svolte nei ristoranti. La travolgente comicità del duo Belushi-Aykryod colpisce anche a tavola.

Blues Brothers, un cult senza tempo

In missione per conto di Dio. Eccola, la geniale trovata di Jake ed Elwood Blues per salvare l’orfanotrofio dove sono cresciuti nel centro di Chicago, la loro Chicago. Quella dei Blues Brothers, la città della musica blues che dà il tempo alla pellicola del 1980 di John Landis, che già due anni prima aveva trovato un compagno d’eccezione in John Belushi nella commedia “Animal House”. Con i Blues Brothers, però, le cose cambiano: arriva anche Dan Aykroyd, che di lì a breve sarebbe diventato famoso per un altro ruolo comico, quello in Ghostbusters, e che insieme al talento cristallino di Belushi, mattatore televisivo dai tempi comici perfetti, le battute irreverenti e le espressioni indimenticabili, crea nell’immaginario collettivo un duo imbattibile. Insieme, danno vita al mito del look con cappello, vestiti neri, valigetta al polso e gli immancabili Rayban Wayfarer. Un mito, sì. Uno di quei film-icona che, oltre a essere tecnicamente interessanti (la colonna sonora è impeccabile, la sceneggiatura meticolosissima…e che cast!), sono riusciti a costruire un vero fenomeno culturale di massa. Una comicità sfrenata che cede al nonsense senza esserne vittima, che dà spazio a elementi grotteschi mai fuori posto: c’è un grande ordine invisibile nella follia meravigliosa messa in scena da Landis, burattinaio che non ha timore di eccedere con la finzione.

Scopri il cibo del film Blues Brothers

La cena dei Blues Brothers al ristorante

Mito, dicevamo. Mitici gli abiti, le battute, mitica la Bluesmobile. E la musica, resa indelebile anche dalla presenza di alcuni dei più grandi rappresentati del soul e blues di quei tempi, come Ray Charles, Aretha Franklin – chi non ricorda la scena del ballo sulle note di “Think” alla sua tavola calda? – e James Brown. “Noi e il buon Dio abbiamo fatto un patto: siamo in missione per conto del Signore”. E così, uno per uno, se li vanno a riprendere tutti gli altri componenti della banda, l’unica soluzione possibile per raccogliere soldi in maniera pulita, come la suora Mary Stigmata, “La Pinguina”, gli aveva chiesto. In missione per conto di Dio possono fare qualsiasi cosa, tutto il necessario. Recarsi in un ristorante di lusso, per esempio, per recuperare il trombettista Alan Rubin, che ha trovato lavoro come maître, mettendolo in imbarazzo fino a che non è costretto a cedere. “Una bottiglia del miglior champagne, cinque cocktail di gamberi e pane bianco per mio fratello”, ordinano creando scompiglio, per iniziare poi a mangiare voracemente, rumorosamente, con i tovaglioli al collo, parlando a bocca piena e lanciandosi pezzi di cibo. Mentre bevono la prima bottiglia di quella dozzina di Dom Pérignon del ’71 a 120 dollari ordinata senza riflettere. C’è un solo modo per convincere l’amico: “Se dici no, veniamo qui a pranzo, cena e colazione tutti i giorni della settimana”.

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Pane e pollo fritto alla tavola calda con Aretha Franklin

Mancano chitarra e sassofono, ora. Matt “Guitar” Murphy e Lou “Blue” Marini lavorano in una tavola calda di proprietà di Matt e sua moglie. È Aretha Franklin la donna al bancone che si ritrova a servire questi due strani tizi che sembrano “vestiti come impresari delle pompe funebri”. Ancora pane bianco per Elwood, pane bianco tostato “liscio”, senza marmellata, mentre Jack ordina del pollo fritto, anzi quattro polli fritti, “e una Coca-Cola”. Matt cerca di spiegare alla moglie che quelli sono “Elwood e Jack, Cristo, i Blues Brothers!”, e che non può rinunciare all’offerta, ma la signora si ricorda che i due gli devono ancora molti soldi e non vuole che il marito si riunisca alla band. Matt si arrabbia, le ricorda che è solo una donna, cerca di rimetterla al posto suo: in fondo, spetta a lui decidere. In tutta risposta, la moglie lo invita a riflettere bene, a non essere impulsivo… eccolo, uno dei momenti cult del film, Aretha Franklin che comincia a cantare “You better think…”, supportata dalle altre donne nel locale, ballando, canzonando il marito, minacciandolo, prendendosi tutta la scena con la sua voce immensa, potente. Una reazione memorabile che purtroppo, però, non funziona. Ma come biasimare Matt… del resto, chi sa resistere al fascino dei Blues Brothers?

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Il pane bianco “liscio”, quello del boia

Pane e pollo fritto: che insolita scelta. Eppure, si tratta di due prodotti profondamente radicati nella cultura americana. Il pane, quello da toast, è fondamentale per sandwich (quello con burro d’arachidi e marmellata, per esempio) o snack, immancabile a colazione insieme burro e confetture, con un bicchiere d’aranciata o una tazza di caffè. Sembrerebbe essere nato nell’Ottocento in Italia, il pane in cassetta, per via di un brutto scherzo che usavano fare i fornai. I boia non godevano di buona reputazione e dovevano sottostare a diverse burle e angherie da parte delle comunità, tra cui quelle dei panettieri, che porgevano loro il pane al contrario in segno di disprezzo. Un giorno, Piero Pantoni – secondo la tradizione il boia di Torino che eseguì l’ultima impiccagione nel 1864 – fece appello alle autorità chiedendo che i fornai porgessero a tutti i clienti il pane sottosopra, a prescindere dalla condizione sociale. Così, per aggirare la sentenza, questi inventarono un pane a forma di mattone che aveva lo stesso aspetto da entrambi i lati: in questo modo, i boia potevano ritenersi soddisfatti e i fornai potevano continuare a prendersi gioco di loro senza che se ne accorgessero.

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Il pollo fritto, il simbolo della schiavitù afroamericana

Altro prodotto simbolo, il pollo fritto: Mrs Murphy assicura a Jake che il loro è “il migliore dell’Illinois”, ma si sa, il più famoso è quello del Kentucky, reso celebre dalla nota catena di fast food che usa una ricetta segreta, più protetta di quella della Coca-Cola (si dice che sia custodita in una pergamena scritta a mano negli anni ’40 e nascosta in una cassaforte di 350 chili tenuta sotto controllo continuo da sensori e telecamere). Al di là del marchio, la prima ricetta scritta del pollo fritto è apparsa nel ricettario britannico “The Art of Cookery Made Plain and Easy” di Hannah Glasse, pubblicato nel 1747 con tanto di indicazioni sulla marinatura, passaggio fondamentale per il piatto. Poche le fonti sulle origini del pollo fritto: quel che è certo è che va agli schiavi afroamericani del Settecento il merito di averlo reso popolare, ma soprattutto saporito. I polli erano gli unici animali da cortile consentiti agli schiavi, che potevano tenere per loro le parti meno nobili, gli scarti duri e insapore. Così, iniziarono a condire la carne con paprika e altre spezie importate dall’Africa occidentale, friggendolo in olio di palma bollente: il risultato fu un pollo molto più gustoso rispetto a quello preparato dagli scozzesi che erano emigrati nel Sud America per la tratta degli schiavi. È solo dopo l’abolizione della schiavitù che la ricetta comincia a diffondersi anche in altri Paesi, ma a decretarne il successo è un venticinquenne del Kentucky, che durante gli anni della Grande Depressione decide di lanciarsi in una nuova avventura: prende in gestione una pompa di benzina della Shell con piccolo ristorante, dove comincia a servire il pollo fritto a marchio KFC. Il suo nome è Harland Sanders e la sua faccia è ancora oggi impressa sul brand nato ufficialmente nel ’52, e che già nel ’64 contava 600 ristoranti negli Stati Uniti e in Canada.

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Il successo della Coca Cola

Da bravo americano, Jake Blues non può rinunciare a una Coca-Cola per accompagnare i suoi quattro polli. E pensare che la bevanda analcolica più famosa al mondo era stata inventata per combattere il mal di testa! È il 1886 quando il farmacista statunitense John Stith Pemberton decide di creare un rimedio contro spossatezza e dolori, unendo le foglie di coca e le noci di cola, affidandosi alle loro proprietà energizzanti e aromatizzanti. Questo sciroppo finì alla farmacia Jacobs di Atlanta, dove venne messo in vendita a cinque centesimi al bicchiere, con aggiunta di acqua gassata. Le Due “C” dei prodotti base erano perfette per un logo, così il socio e contabile del farmacista, Frank M. Robinson, suggerì il nome e scrisse il marchio Coca-Cola nel corsivo che tutti conosciamo. La prima pubblicità apparve sull’Atlanta Journal, che invitava i clienti a provare la nuova bevanda da asporto, mentre in Italia la bibita sbarca nel 1927, già confezionata nella famosa bottiglia contour di vetro. Un packaging creato dalla Root Glass Company di Terre Haute, in Indiana, nel 1915, pensato proprio per rendere il prodotto facilmente riconoscibile e diverso da tutti gli altri.

La ricetta del pollo fritto

Ingredienti

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  • 1 pollo ruspante di circa 1.2 kg
  • 2 uoa
  • 2 manciate di farina
  • Sale
  • Olio extravergine d’oliva

Fiammeggiate con cura il pollo, ripulitelo dalle pennette, spuntate le ali, le zampe e dividetelo a piccoli pezzi. Dovrete ricavarne diciotto pezzi: due da ogni coscia, due dalla sovracoscia, due dall'ala e tre dal petto. Lavateli sotto l'acqua corrente rimuovendo le piccole schegge di ossa, quindi asciugateli dentro vari strati di carta da cucina e rotolateli nella farina rivestendoli bene. Sbattete le uova dentro una ciotola, metteteci dentro i pezzi di pollo, mescolate, coprite e lasciate riposare al fresco. Mettete sul fuoco la padella con olio abbondante e, quando è ben caldo, calate la metà del pollo. Dopo qualche minuto, abbassate un po' la fiamma (non al minimo) in modo che i pezzi di pollo possano cuocere anche all'interno e, dopo una decina di minuti, rialzatela nuovamente per dare al fritto una bella doratura. Girate i pezzi di pollo una volta a metà cottura e fateli cuocere complessivamente per un quarto d'ora abbondante, scuotendo ogni tanto la padella. Infine, scolateli, passateli su un doppio foglio di carta da cucina e teneteli in caldo nel forno semiaperto mentre friggete il resto. Salate il pollo solo al momento di portarlo in tavola.

a cura di Michela Becchi

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