Chi era Luis Sepúlveda
Scrittore, sceneggiatore, regista, ma anche ambientalista, attivista politico, prima di tutto un narratore, portavoce dei più deboli, cantastorie degli sconfitti. Se ne è andato all’età di 71 anni l’autore cileno Luis Sepúlveda, da febbraio alle prese con la lotta al Coronavirus. Nato a Ovalle nel ‘49, lascia il suo Paese dopo l’incarcerazione subita da parte del regime di Augusto Pinochet. La sua è una vita impostata sui principi della giustizia, l’eguaglianza, il rispetto, valori che si ritrovano in ogni lavoro, a cominciare da “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, il suo esordio letterario dedicato a Chico Mendes, portato a termine dopo aver trascorso sette mesi nella foresta amazzonica con gli indios Shuar.
Luis Sepúlveda e i libri con Carlo Petrini: Vivere per qualcosa
Fra i tanti volumi che portano la sua firma, infatti, non mancano quelli dedicati alla sostenibilità ambientale, tema molto caro allo scrittore, che insieme a Carlo Petrini e José Mujica nel libro pubblicato nel 2017 “Vivere per qualcosa” invita i lettori alla riscoperta della semplicità, sottolineando l’importanza di uno sviluppo sostenibile, del rispetto per l’ambiente, ma anche della condivisione e della solidarietà. Le fondamenta sulle quali i tre autori hanno costruito la loro carriera e il loro stile di vita: oltre all’amore per la scrittura, infatti, condividono quello per l’etica e la politica, ma soprattutto per l’ecologia. Vivere per qualcosa, per la felicità, parola che torna prepotentemente nei racconti di Sepúlveda, una felicità intesa come benessere collettivo, un qualcosa raggiungibile solo attraverso il rispetto per gli altri, per l’ambiente che ci circonda, dagli animali alle piante.
Un’idea di felicità
Quel senso di condivisione di cui oggi, complice l’emergenza climatica e la più recente crisi dovuta al Covid-19, si parla sempre più spesso: il bisogno di rallentare, di ritrovare un ritmo di vita meno frenetico, più generoso, arrivando così a quella felicità sì individuale, ma prima di tutto comune. Un senso di appagamento frutto di una vita vissuta a pieno: “Tutto quello che si fa per un mondo migliore ha un punto di partenza, e questo punto di partenza è conquistare il diritto a un’esistenza piena. Un ‘esistenza felice, nel senso più completo della parola”. Ancora Sepúlveda, nel primo libro scritto con Petrini, nel 2014, “Un’idea di felicità”. Un messaggio di speranza, che conferma che sì, è ancora possibile trovare la felicità, anche in tempi moderni. Magari rubando un po’ di spazio alle nostre giornate “per far germogliare un seme”. E soprattutto facendo la nostra parte, partecipando alla lotta per un mondo più sostenibile, equo. Giusto.
L’idea di felicità collettiva
Attualità e letteratura, gastronomia e politica, natura e tradizione: Un’idea di felicità è un susseguirsi di idee, speranze, ricordi, aneddoti, storie narrate con una sensibilità rara e con quell’attenzione maniacale ai dettagli che ha sempre contraddistinto lo stile di Sepúlveda, cantastorie innamorato, inventore di trame passionali e avventurose, romanzi accattivanti fatti di personaggi tridimensionali, vivi, dalla caratterizzazione minuziosa, lascito del suo amore infinito per la cronaca. “Sono uno scrittore perché non so fare altro che raccontare storie”. Si descriveva così l’autore, rimarcando però anche il suo ruolo di essere sociale, “un individuo che rispetta sé stesso e intende occupare un piccolo posto nel labirinto della storia”, ma anche “il cronista di tutti coloro che giorno dopo giorno vengono ignorati, privati della storia ufficiale, che è sempre quella dei vincitori”. Ancora, individualismo e collettività. Benessere del singolo e di tutti. Facce diverse della stessa anima che ora si rincorrono, ora si scontrano, e che solo quando si uniscono in maniera armonica, finalmente, diventano gioia condivisa. “L'ultima rivoluzione rimasta in sospeso è quella dell'immaginario: dobbiamo essere capaci di immaginare in quale mondo e società vogliamo vivere, e se vogliamo essere cittadini o consumatori. La felicità è un diritto umano”.
a cura di Michela Becchi