Parco Nazionale dello Stelvio

C'è chi sceglie di affrontare la Scalinata dei larici monumentali e chi preferisce le ciaspolate notturne lungo i pendii ammantati di neve, ma anche chi cede al fascino di un tour suggestivo fra i Laghi Sternai. In ogni caso, visitare il Parco Nazionale dello Stelvio è una di quelle esperienze che, almeno una volta nella vita, vale assolutamente la pena fare. A patto di affidarsi a una guida come Massimo Favaron, responsabile didattico dell'oasi naturalistica, a cui abbiamo chiesto qualche informazione per evitare di perdere il senso dell'orientamento di fronte a tanta bellezza.

«Premetto che l'area protetta occupa una porzione di territorio piuttosto vasta, ripartita fra 4 province (Sondrio e Brescia, in Lombardia; Trento e Bolzano, in Trentino-Alto Adige) e si caratterizza per la presenza di paesaggi tipicamente alpini, con cime comprese fra i 1.000 e i 3.905 metri (sul punto più alto del Monte Ortles). Un dislivello che incide in modo significativo sulla biodiversità», ci spiega. Così, se il fondovalle ospita radure e prati a sfalcio, nei versanti boscosi prevalgono le latifoglie, dall'abete rosso al larice, fino al cembro, una specie rara che in terra lombarda forma dei consorzi forestali di grande pregio. «Man mano che si sale verso la vetta, poi, troviamo soprattutto praterie intervallate da complessi glaciali come il ghiacciaio dei Forni, secondo per estensione in tutta Italia dopo quello dell'Adamello, e da ghiaioni, aree rocciose decisamente inospitali».

Suggerimenti per escursionisti in erba? «Qualunque zona stiate attraversando, tenete sempre a mente il motto "sentiero che vai, flora che trovi": sullo Stelvio nessun habitat è uguale all'altro. E, a sorpresa, le zone di maggior interesse sono proprio i ghiaioni, dove l'esigenza di sopravvivere al freddo polare e di attirare gli insetti impollinatori induce le piante a sviluppare piccoli apparati floreali dai colori vivaci». Non è da meno la fauna. «Abbiamo censito 280 vertebrati e stiamo effettuando degli studi sugli invertebrati di piccole dimensioni, da cui si evince una variabilità altrettanto elevata. In questo senso, l'ente ricopre un ruolo di primo piano nella tutela degli esemplari a rischio di estinzione (un tempo minacciati dalle battute di caccia delle comunità montane, che consumavano molta carne per assicurarsi un apporto proteico adeguato); grazie ai suoi progetti di salvaguardia dell'ecosistema, ora i visitatori possono ammirare 4 ungulati pressoché assenti nel 1935, anno di istituzione della riserva: nelle foreste a bassa quota vivono oltre 10 000 cervi, fra una radura e l'altra i caprioli, nei boschi più elevati i camosci e al limitare della vegetazione gli stambecchi. Tra i rapaci, invece, segnalo la presenza dell'aquila reale (animale-simbolo del parco) e del gipeto, un grande avvoltoio dall'apertura alare di 3 metri, anch'esso "perseguitato" dalla popolazione onde evitare che aggredisse troppo frequentemente gli agnelli dei pastori». Ma il nemico giurato dell'ecosistema, al giorno d'oggi, è un altro. «Mi riferisco al cambiamento climatico. Se, da un lato, sono stati condotti centinaia di studi sul rapporto tra l'aumento delle temperature e la migrazione delle specie botaniche, dall'altro bisogna iniziare ad analizzare le conseguenze della loro scomparsa sulla fauna che se ne nutre. Noi lo stiamo facendo con la marmotta e la pernice bianca». Parole che ci ricordano come i grandi parchi nazionali italiani siano molto più di semplici località turistiche. «Visitiamoli sempre con rispetto e attenzione. Da piante e animali si impara moltissimo».

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