Del Cambio è uno di quei pochissimi ristoranti italiani dove la storia si sente davvero e rende particolare l'esperienza. Quando è allestito, mangiare nel dehors affacciato su una delle piazze più famose del paese, resta un'esperienza unica. Ma pure sedersi in Sala Risorgimento - un gioiello di stile - emoziona sempre, magari creando un minimo di timore al neofita. A spazzarlo via arriva la cucina di Matteo Baronetto, enfant du pays (elemento più di svantaggio che di vantaggio nelle prime stagioni) che fa parte del 'salotto buono' della nostra cucina. L'impegno attuale lo ha portato a creare quelle che definisce "similitudini", una serie di combinazioni di ingredienti, molto differenti, capaci di esprimere sensazioni gustative simili. I degustazione a mano libera mirano a sorprendere e ci riescono perché la tecnica di Baronetto - inappuntabile - si mette al servizio di tanta fantasia, di quella provocazione che un tempo non era nelle sue corde. E così si è arrivati al ramen della casa (brodo di manzo, tajarin, peperone, acciuga, bagnetto verde, fungo, rapanello e rondella di porro) o la seppia e lardo con nigiri rovesciato. Detto che i mano libera sono il top dell'offerta, alla carta, sempre ampia, è riservata la parte rassicurante della cucina, a partire dai classici piemontesi, rivisti con un perfetto tocco d'autore. Il servizio è impeccabile - sin dai tempi del Conte di Cavour - ma un tocco di informalità e un sorriso in più lo migliorerebbero ancora. Mentre la cantina, scavata tra mura seicentesche e con un lungo tavolo per degustazioni, è obiettivamente non migliorabile: oltre 2.200 etichette per circa 20 mila bottiglie, con il meglio del meglio del Piemonte (alcune verticali sono clamorose) e tutte le altre grandi famiglie del vino.