Ci sono vari modi per approcciare la cucina di Anthony Genovese, tanto è sfaccettata e variegata d'intrecci. Il più semplice (e forse il più felice di tutti) è godersela. Farsi pochissime domande, visto che i menu, le novità del Circus, i classici di Orme, il tutto vegetale del Terrae e lo stesso lunch in 4 passi (con licenza d'opzione terra-mare) sono tutti a sorpresa e "cuciti" dallo chef. C'è molto da godere con tutti i sensi. Con la vista: la bellezza di suppellettili e mise en place, includenti tazze magnetiche e ciotole da colazione jap, marmi in sequenza di colore e ceramiche e foglie in mix evocativi di "rinascita della terra", e persino un nuovo logo. Con il tatto: per appezzare l'eterea soavità di cialde, tartelle e box edibili che paion fatti di nulla, tanto son lievi, ma sanno di moltissimo (capolavoro il dahl di lenticchie). E poi, ovvio, campo a olfatto e gusto che troveranno pani (abbinati a puntino e pezzi di piatto essi stessi) squisiti per i loro denti, con lampi di sapore e fantasia difficili da dimenticare. Impossibile elencare tutto, ma sono memorabili il cefalo marinato; l'insalata riletta e smarcata da un rituale che, pur prezioso, sta divenendo ripetitivo; l'ennesimo, ma infinito remake del foie gras di ricciola; l'alchimia ironica (tra smorfia da re dei Pagliacci e gioco di prestigio) del piccione sparito (non si "vede", non esiste a vista) ma che pure è arcipresente e irride un altro dei rituali dell'alta cucina. Non da meno le fettuccine "a colori" (canapa, papavero, spugnole, Marsala, funghi neri: le meno romane di Roma, ma che si fanno ricordare) o la finanziera "incannolata" alla cinese, involtino "non primavera". Il resto è il blu delle eleganti figure in movimento in sala, colte e colti dispensatori del servizio, e le nuance di una cantina (e annessi: miscelati, infusi...) affidata ora un team di sommelier, con Matteo Zappile a dirigere un ensemble squisitamente intonato.