Franco Aliberti è una figura emergente sullo scenario contemporaneo milanese, bella sorpresa (dal 2018) in questo locale incastrato tra i grattacieli della nuova Milano. L'ambiente è elegante, forse un po' freddo, ma a stupire è l'idea gastronomica che si percepisce col passare delle portate, fra tradizione italiana di rito meridionale (lo chef è campano) e responsabilità etiche, per esempio nello sfruttamento di ogni parte di ciascun ingrediente. E non si tratta di cucina di recupero, qui si vola ad ali spiegate: Cavolfiore (mousse di ricotta e cavolfiore ricoperta dalla foglia dell'ortaggio), spaghetto alla conserva casalinga di pomodoro, biancostato piemontese alla griglia con cicoria, "il lato B del dolce" (foglie e bucce rese croccanti con creme a base di frutta e ortaggi). Due menu degustazione, uno dedicato ai dintorni della città, in cui è segnalato il chilometraggio della filiera (dallo 0 del finto panettone salato ai 122 del carciofo) a 90 euro, e l'altro dedicato ai suoi quartieri (Barona, Solari, Porta Nuova e così via) a 70, entrambi con la possibilità di vini in abbinamento (rispettivamente a 150 e 110 euro). A pranzo due piatti a scelta da una short list con acqua, caffè e coperto inclusi a 30. Carta dei vini lunga e interessante, con qualche opzione al bicchiere; servizio notevole, migliorato.