LA VIGNA | Siamo in uno degli scorci più iconici dell'Oltrepò Pavese, nel comune di Rocca de' Giorgi, in passato di proprietà della famiglia Duca, a circa 550 metri di quota. Esposizioni nord e nord-ovest, fortissima pendenza, suoli calcarei e una feroce escursione termica tra il giorno e la notte: è l'habitat ideale per il pinot nero. I confini della vigna sono tracciati dalla storica Via degli Abati, richiamata in etichetta con l'immagine stilizzata di tre abati in cammino. Il Poggio dei Duca viene messo in commercio dopo un affinamento sui lieviti di circa 4 anni, la prima annata è stata la 2016.
LE PERSONE | I fratelli Cristian e Stefano Calatroni hanno impresso un'accelerazione fortissima alla cantina fondata dal papà Fausto nel 1964. Il primo è un enologo silenzioso e instancabile, con una mano felicissima sul Metodo Classico (negli anni le cuvée in rosa hanno strappato punteggi elevatissimi nelle nostre degustazioni), il secondo cura tutta la parte commerciale, ma non solo. Si scambiano spesso ruoli e incombenze, erano partiti con poche bottiglie di Metodo Classico e nell'ultimo anno ne hanno tirate già 60mila in totale. La direzione è segnata sempre più da scelte ecosostenibili e dalla convinzione nella propria vocazione spumantistica, con nuovi Metodo Classico dai lunghi affinamenti e ricerca dei migliori cru della Valle Versa. Il marchio Mon Carul raccoglie invece il resto della produzione, nella quale ai vini da autoctoni oltrepadani (come Bonarda e Sangue di Giuda) si affiancano da tempo interpretazioni di alto profilo di di riesling renano. Da rimarcare le attività enoturistiche, con un curato agriturismo, centrali nel progetto aziendale che la famiglia Calatroni, con la preziosa collaborazione di Elisa Nervetti, porta avanti con mano sicura ed energia inesauribile.
IL VINO | Naso di una freschezza impressionante. I profumi sono vividi e mentolati, con toni fragranti di lamponi e zest di limone, in sottofondo lemongrass e ginger. La bocca è prima polposa, poi arriva una stoccata acida impressionante per una trama vibrante e saporita. La tensione acida è elettrizzante, ma al contempo ricca di dettagli, succo e sfumature, per un palato ricco di verve agrumata e carica sapida. Il finale, a dir poco vitale, regala un leggero sbuffo speziato di liquirizia sul finale. La cuvée da noi assaggiata è stata sboccata a fine febbraio 2023, le prospettive evolutive in bottiglia sono più che rosee.